Raffaele Fitto fu corrotto con mezzo milione di euro quando era presidente della Regione Puglia. E’ il nodo principale delle motivazioni della sentenza che ha condannato l’ex governatore e ex ministro del Pdl a 4 anni di reclusione per corruzione, finanziamento illecito ai partiti e abuso d’ufficio, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Secondo i giudici il finanziamento di 500mila euro che l’allora presidente della Regione Puglia ricevette per il suo movimento politico “La Puglia prima di tutto” “prima, durante e poco dopo” la campagna elettorale per le regionali del 2005 dall’imprenditore Giampaolo Angelucci per far assegnare alle aziende di quest’ultimo un appalto settennale da 198 milioni di euro per la gestione di 11 residenze sanitarie assistite, “si connota illecitamente in quanto è stato il prezzo della corruzione del Fitto da parte dell’Angelucci”.
Angelucci, re delle cliniche romane, editore di Libero e figlio di Antonio (parlamentare del Pdl), è stato invece condannato a 3 anni e mezzo perché riconosciuto colpevole di corruzione e illecito finanziamento ai partiti in concorso. Ad altri 11 dei 30 imputati furono inflitte pene comprese tra un anno e 4 anni e 6 mesi di reclusione.
Secondo il tribunale, Fitto aveva “un disegno molto più ampio rispetto alla semplice volontà di attivare le strutture sanitarie” Rsa, che dovevano sopperire alla drastica riduzione dei posti letto ospedalieri imposta dalla legislazione nazionale e dal bilancio regionale. Un disegno – scrivono i giudici – che “ha consentito a Fitto di contare su un appoggio economico di rilievo per il suo movimento politico (La Puglia prima di tutto, ndr), che proprio in quel periodo si stava formando”. Per ottenere i 500mila euro da Angelucci – ricostruisce il tribunale – Fitto compì una “diretta intromissione nelle decisioni spettanti ai direttori generali delle Asl sulla attivazione delle Rsa e sul tipo di gestione da scegliere”, poi accentrò “in una gara unica tutti gli appalti per gestire le Rsa”. “Ciò – scrivono i giudici – al fine di creare a monte tutti i presupposti perché venisse espletata una gara di tale portata economica ed impegno organizzativo per i soggetti proponenti” che “solo un unico e importante gruppo imprenditoriale sarebbe stato capace di presentare”.
Nonostante la sconfitta elettorale, il presidente uscente – secondo il tribunale – si attivò per estendere ad altre tre Rsa (ma fu di fatto boicottato da dirigenti e funzionari regionali) l’appalto vinto da Angelucci con il Consorzio San Raffaele in quanto “aveva assunto degli impegni”, che secondo i giudici non erano altro che il corrispettivo degli ultimi finanziamenti che il gruppo Tosinvest di Angelucci doveva elargire al movimento di Fitto.
Parla di motivazioni surreali l’avvocato di Fitto, Francesco Paolo Sisto, pure lui deputato del Pdl e attivissimo in commissione Giustizia della Camera. “Le sentenze si dice che vanno rispettate – di chiara – Ve ne sono alcune, come questa su Raffaele Fitto, che possono essere solo formalmente rispettate” perché “sostanzialmente non stanno né in cielo né in terra”. Secondo Sisto “la corsa contro il tempo per emettere la condanna in piena campagna elettorale stride vistosamente con la prescrizione per gli stessi reati maturatasi durante il tempo di ben sei mesi chiesto dal tribunale per il deposito della motivazione. Sentenza a rotta di collo, motivazione alla moviola, con contestuale prescrizione dei reati: su questo significativo canovaccio, si innesta una motivazione surreale, appiattita ciecamente sull’accusa e sulle indagini durate otto anni (chi è il responsabile della intervenuta prescrizione?), che non ha visto e sentito quanto accaduto in dibattimento”. “Raffaele Fitto – conclude il legale – non ha visto un euro di quel lecito finanziamento, utilizzato, come la Corte del Conti ha verificato, del tutto correttamente per spese e causali elettorali”.