Ricevo, in esclusiva per il blog, traduco dall’inglese  e pubblico “Do as we say, not as we do: The Haitian cholera epidemic and the moral legitimacy of the United Nations”, articolo di Adam Houston e Beatrice Lindstrom, dell’Istituto per la Giustizia e la Democrazia ad Haiti (Institute for Justice and Democracy in Haiti – IJDH), l’organizzazione di Boston (USA) che insieme all’organizzazione Haitiana Bureaux des Avocats Internationaux rappresenta il collettivo delle vittime del colera ad Haiti. (EM)

  
Il rapporto segue da vicino un articolo scritto dagli scienziati nominati dalle Nazioni Unite per investigare le cause dell’epidemia, che conclude che « prove preponderanti… conducono alla conclusione che il personale di una [base della missione di pace ONU] sia stata la causa più probabile dell’introduzione del colera ad Haiti ».
Questi due documenti, e l’ampia attenzione internazionale che essi hanno ricevuto, sostengono una vasta rete informale di scienziati, avvocati, attivisti dei diritti umani, leaders comunitari, gruppi di vittime, e funzionari governativi che chiedono che l’Onu – l’organizzazione creata con l’obiettivo di promuovere la giustizia ed i diritti umani nel mondo intero – realizzi ad Haiti i principi che va predicando. Finora, tuttavia, l’Onu sembra rimasta sorda a questi appelli, con grande danno tanto per Haiti che per l’organizzazione stessa.
Il colera, una malattia che si trasmette attraverso l’acqua e che può uccidere una persona in poche ore, è stato introdotto ad Haiti per via di feci umane non trattate gettate a partire da una base della missione di pace Onu nel fiume che funge da sorgente d’acqua per decine di migliaia di Haitiani.
Da allora, si è diffuso in tutti i dieci dipartimenti amministrativi del paese. Oltre 8000 haitiani sono morti e più di 650.000 si sono ammalati dall’ottobre del 2010 ; il numero totale di casi di colera ad Haiti ha ormai sorpassato il numero complessivo di casi del resto del mondo.
Malgrado l’esistenza di prove schiaccianti del fatto che l’epidemia trovi le sue origini nel campo Onu, le Nazioni Unite hanno rifiutato di assumersi qualunque responsabilità. Nel febbraio 2013, dopo quindici mesi di silenzio, l’Onu ha laconicamente rifiutato di accogliere le richieste presentate da 5000 vittime, venendo meno al proprio obbligo di ovviare ai danni che causa.
La giustificazione dell’Onu, secondo cui le richieste risarcitorie sarebbero state inammissibili perché attinenti a questioni di natura politica, ha causato sdegno, per via di quello che molti interpretano come un tentativo di schivare le proprie responsabilità, poiché ci si chiede in che modo il trattamento inadeguato delle acque di scolo possa essere considerato una scelta di matrice politica, in quanto tale insindacabile.
La cattiva gestione della situazione del colera da parte dell’Onu è arrivata a tali punti che, per usare le parole del rapporto di Yale, « le Nazioni Unite violano i principi di base del dovere di rendere conto e rispettare la legge che promuovono mondialmente ».
Uno di questi principi è il cardine fondamentale dello Stato di diritto secondo il quale le vittime di lesioni o morte causate dalle azioni commesse da altri dovrebbero avere la  possibilità di presentare ricorso davanti ad un tribunale equo.
 
L’Onu aveva accettato di rispettare questo principio; in effetti, in cambio dell’immunità di giurisdizione di fronte ai tribunali nazionali di cui gode l’Onu, l’organizzazione ha promesso, nell’Accordo sullo Stato delle Forze [intesa giuridica tra un paese ed una nazione straniera o, in questo caso, l’ONU, che staziona forze armate in quel paese -nota del traduttore] concluso con il governo di Haiti, di istituire una commissione permanente incaricata di trattare le richieste di risarcimento che sarebbero dovute altrimenti essere portate di fronte ad un tribunale haitiano.
Haiti è solo l’ultima, seppure forse la maggiore, testimonianza del fatto che l’Onu non ha mai, nel corso dell’intera storia delle sue operazioni di pace, istituito una tale commissione. Il risultato, come osserva il rapporto di Yale, è che «un meccanismo significativo per assicurare la responsabilità dei peacekeepers è stato nullificato». Conclude che «avendo causato l’epidemia e poi rifiutato di risarcirne le vittime, l’Onu ha violato i propri impegni con il governo di Haiti, i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale, ed i principi dell’assistenza umanitaria».
Per le vittime dell’epidemia, le conseguenze sono reali e devastanti. Per coloro che sono stati costretti a ritirare i figli da scuola o stanno lottando per mettere del cibo in tavola dopo avere perso l’unica persona che guadagnasse il pane per la propria famiglia, questa negazione di giustizia significa subire un torto oltraggioso, senza avere alcuna possibilità di rimedio. Significa ricevere un messaggio chiaro che quando l’Onu dice di promuovere «i diritti umani per tutti», loro non sono compresi.
E mentre l’Onu ha affermato che assumere le proprie responsabilità per l’epidemia di colera potrebbe costituire un precedente che sarebbe troppo costoso e danneggerebbe le future missioni, le ripercussioni di questa elusione di responsabilità sono molto più grandi.
Per un’organizzazione che dipende dalla propria credibilità morale per perseguire il suo obiettivo di promuovere i diritti umani per tutti, le implicazioni del diniego dei suoi stessi valori sono gravi e di vasta portata.
Significa che la prossima volta che l’ONU cercherà di diffondere il proprio messaggio, la gente potrebbe semplicemente smettere di ascoltarlo.
 
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