La storia si ripete, questo il triste bilancio dell’ondata di violenza che si è abbattuta sull’Egitto. L’umanità ha la memoria corta ed incappa spesso negli stessi errori, ecco una spiegazione a carattere antropologico del perché questa nazione sta per entrare nel medesimo campo minato dal quale la Siria non riesce ad uscire da almeno due anni. Di chi la colpa?
Il coro ‘democratico’ che si alza dalle capitali occidentali sostiene che il copione è della moderna al Qaeda, rinata dalle ceneri di quella vecchia ed alleatasi con i partiti islamici come la Fratellanza Mussulmana; un’al Qaeda senza Osama bin Laden e che possiede nuove icone ‘locali’, tutte sparpagliate nei punti nevralgici del medio oriente. Il regista di questa pellicola è Al Zawahiri, il medico egiziano teorico della moderna jihad, ex numero due di al Qaeda, oggi guida incontrastata delle vecchia e nuova guardia.
Non è facile analizzare ciò che davvero sta accadendo nel mondo arabo, di certo la versione della rinascita di al Qaeda lascia molto a desiderare. Piuttosto le difficoltà di interpretazione nascono dal fatto che questo nuovo bagno di sangue fratricida presenta tanti, troppi paralleli politici con il passato prossimo e remoto post-bellico. E vale la pena menzionarne i più inquietanti.
Come ai tempi dalla guerra fredda viene riproposto il modello di scontro dicotomico tra democrazia e totalitarismo, che tradotto in termini occidentali significa tra bene e male. In Egitto, come in Siria, i ribelli sono democratici, e quindi buoni, e fino a qui nessuno ha nulla da obiettare, ma mentre nella seconda nazione i militari difendono lo statu quo, nella prima l’esercito fa l’opposto e combatte il totalitarismo islamico con l’arma del colpo di stato. Di esempi di regimi militari ‘buoni’, e quindi ‘amici’ dell’occidente, ce ne sono tanti, da quello di Pinochet a quello dell’esercito algerino nel 1992, i bilanci però della difesa della democrazia con la canna del fucile sono tutti stati scritti con il sangue. Ma anche quelli dei ‘cattivi’ o ‘amici’ del comunismo sovietico o dell’attuale Russia, come il regime siriano, hanno fatto uso dello stesso inchiostro.
Già viste in questo reality dell’horror di politica internazionale sono anche le scene dell’ipocrisia delle super-potenze, un tempo solo due ed oggi più copiose. L’America di Obama che subito dopo il colpo di stato in Egitto lancia l’allerta contro al Qaeda e chiude la maggior parte delle ambasciate nel Medio Oriente è la stessa nazione che prima delle elezioni incoraggiava le forze di coalizione a negoziare un trattato di pace con i Talebani, alleati di al Qaeda e protettori di al Zawahiri. Vecchio è anche il cameo di Edward Swnoden, spia americana protetta dal nemico moscovita, che viene inserito a forza nel carnaio medio orientale grazie al mantra della sicurezza assoluta dalla minaccia presente di al Qaeda, che il presidente Obama può garantire solo spiando il resto del mondo. Comportamenti analoghi si riscontrano a Mosca ed a Pechino che giocano al gatto ed alla volpe con Washington sulla pelle dei Siriani.
Più che la storia si ripete bisognerebbe scrivere che questa pellicola l’abbiamo già vista non 100 o 1000 ma almeno un milione di volte e che se nessuno se ne è ancora accorto allora la situazione è ben peggiore di quanto si pensi. Durante la guerra fredda la partita a scacchi tra le due super-potenze si giocava nelle rispettive periferie, Sud America e Sud Est asiatico, oggi quella tra le nuove super-potenze si gioca in Medio Oriente. E come negli anni sessanta e settanta, le pedine sono i giovani nati dall’eccezionale esplosione demografica di queste regioni.
Le ideologie contano poco, sono solo lo specchietto per le allodole dell’opinione pubblica, la posta in gioco non è mai ideologica è sempre e solo di potere. Allende come Morsi come il Fronte di Liberazione Islamico algerino furono eletti democraticamente e deposti con colpi di stato militari senza neppure provare ad usare gli strumenti democratici per far opposizione interna. Basta questo per farci riflettere su quel tipo di democrazia che piace solo quando è nelle mani delle élite ‘giuste’.
Certo noi italiani dovremmo essere tra i pochi ad accorgerci che la pellicola è vecchissima perché in fondo è nei nostri studi che sono state girate alcune delle scene che da più di mezzo secolo ci vengono riproposte: quelle della democrazia bloccata che ci ha regalato 35 anni di DC e più di due ventenni di Berlusconismo, senza parlare poi della dittatura fascista. Ma gli italiani come la maggior parte degli abitanti del villaggio globale oltre ad avere la memoria corta ormai sono anche sordi e mezzi ciechi.
Loretta Napoleoni
Economista
Mondo - 18 Agosto 2013
Egitto, le guerre non sono mai ideologiche. Ma sempre e solo di potere
La storia si ripete, questo il triste bilancio dell’ondata di violenza che si è abbattuta sull’Egitto. L’umanità ha la memoria corta ed incappa spesso negli stessi errori, ecco una spiegazione a carattere antropologico del perché questa nazione sta per entrare nel medesimo campo minato dal quale la Siria non riesce ad uscire da almeno due anni. Di chi la colpa?
Il coro ‘democratico’ che si alza dalle capitali occidentali sostiene che il copione è della moderna al Qaeda, rinata dalle ceneri di quella vecchia ed alleatasi con i partiti islamici come la Fratellanza Mussulmana; un’al Qaeda senza Osama bin Laden e che possiede nuove icone ‘locali’, tutte sparpagliate nei punti nevralgici del medio oriente. Il regista di questa pellicola è Al Zawahiri, il medico egiziano teorico della moderna jihad, ex numero due di al Qaeda, oggi guida incontrastata delle vecchia e nuova guardia.
Non è facile analizzare ciò che davvero sta accadendo nel mondo arabo, di certo la versione della rinascita di al Qaeda lascia molto a desiderare. Piuttosto le difficoltà di interpretazione nascono dal fatto che questo nuovo bagno di sangue fratricida presenta tanti, troppi paralleli politici con il passato prossimo e remoto post-bellico. E vale la pena menzionarne i più inquietanti.
Come ai tempi dalla guerra fredda viene riproposto il modello di scontro dicotomico tra democrazia e totalitarismo, che tradotto in termini occidentali significa tra bene e male. In Egitto, come in Siria, i ribelli sono democratici, e quindi buoni, e fino a qui nessuno ha nulla da obiettare, ma mentre nella seconda nazione i militari difendono lo statu quo, nella prima l’esercito fa l’opposto e combatte il totalitarismo islamico con l’arma del colpo di stato. Di esempi di regimi militari ‘buoni’, e quindi ‘amici’ dell’occidente, ce ne sono tanti, da quello di Pinochet a quello dell’esercito algerino nel 1992, i bilanci però della difesa della democrazia con la canna del fucile sono tutti stati scritti con il sangue. Ma anche quelli dei ‘cattivi’ o ‘amici’ del comunismo sovietico o dell’attuale Russia, come il regime siriano, hanno fatto uso dello stesso inchiostro.
Già viste in questo reality dell’horror di politica internazionale sono anche le scene dell’ipocrisia delle super-potenze, un tempo solo due ed oggi più copiose. L’America di Obama che subito dopo il colpo di stato in Egitto lancia l’allerta contro al Qaeda e chiude la maggior parte delle ambasciate nel Medio Oriente è la stessa nazione che prima delle elezioni incoraggiava le forze di coalizione a negoziare un trattato di pace con i Talebani, alleati di al Qaeda e protettori di al Zawahiri. Vecchio è anche il cameo di Edward Swnoden, spia americana protetta dal nemico moscovita, che viene inserito a forza nel carnaio medio orientale grazie al mantra della sicurezza assoluta dalla minaccia presente di al Qaeda, che il presidente Obama può garantire solo spiando il resto del mondo. Comportamenti analoghi si riscontrano a Mosca ed a Pechino che giocano al gatto ed alla volpe con Washington sulla pelle dei Siriani.
Più che la storia si ripete bisognerebbe scrivere che questa pellicola l’abbiamo già vista non 100 o 1000 ma almeno un milione di volte e che se nessuno se ne è ancora accorto allora la situazione è ben peggiore di quanto si pensi. Durante la guerra fredda la partita a scacchi tra le due super-potenze si giocava nelle rispettive periferie, Sud America e Sud Est asiatico, oggi quella tra le nuove super-potenze si gioca in Medio Oriente. E come negli anni sessanta e settanta, le pedine sono i giovani nati dall’eccezionale esplosione demografica di queste regioni.
Le ideologie contano poco, sono solo lo specchietto per le allodole dell’opinione pubblica, la posta in gioco non è mai ideologica è sempre e solo di potere. Allende come Morsi come il Fronte di Liberazione Islamico algerino furono eletti democraticamente e deposti con colpi di stato militari senza neppure provare ad usare gli strumenti democratici per far opposizione interna. Basta questo per farci riflettere su quel tipo di democrazia che piace solo quando è nelle mani delle élite ‘giuste’.
Certo noi italiani dovremmo essere tra i pochi ad accorgerci che la pellicola è vecchissima perché in fondo è nei nostri studi che sono state girate alcune delle scene che da più di mezzo secolo ci vengono riproposte: quelle della democrazia bloccata che ci ha regalato 35 anni di DC e più di due ventenni di Berlusconismo, senza parlare poi della dittatura fascista. Ma gli italiani come la maggior parte degli abitanti del villaggio globale oltre ad avere la memoria corta ormai sono anche sordi e mezzi ciechi.
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Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "La balla della privacy con cui la maggioranza e il governo giustificano la loro lotta senza quartiere alle intercettazioni, oltre ad essere una motivazione del tutto falsa e smentita dai fatti, ormai non regge più nemmeno rispetto alle azioni dello stesso centrodestra. Infatti, mentre alla Camera demoliscono le intercettazioni, al Senato portano avanti l'articolo 31 del Ddl Sicurezza che consentirà ai Servizi segreti la schedatura di massa dei cittadini". Lo afferma la deputata M5S Valentina D'Orso, capogruppo in commissione Giustizia.
"Non sono più credibili nemmeno quando accampano motivazioni di comodo, si smentiscono con i loro stessi provvedimenti che in realtà rispondono a un disegno ormai chiaro: indebolire gli strumenti di indagine della magistratura che possono dar fastidio ai colletti bianchi e allo stesso tempo creare un brutale sistema di repressione del dissenso e controllo sui cittadini comuni".
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - La Camera è riunita in seduta notturna per finire l'esame degli emendamenti al ddl intercettazioni, quindi le dichiarazioni di voto e il voto finale che dovrebbe arrivare nella serata. I lavori sono previsti fino alle 24.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "L'Italia ha ribadito che continueremo a sostenere l'Ucraina anche nel documento approvato oggi alla Camera e ieri al Senato. E' un impegno che noi manteniamo, continueremo a fare la nostra parte. Noi non siamo mai stati in guerra con la Russia e non abbiamo mai autorizzato l'uso di nostre armi da parte degli ucraini in territorio russo". Lo ha detto Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Mi pare che la telefonata Trump-Putin sia un segnale positivo così come quella tra Trump e Zelensky. Noi abbiamo chiesto che l'Ucraina fosse coinvolta e questo è accaduto. Noi incoraggiamo tutte le iniziative che portano alla pace. Non è facile ma qualche speranza c'è". Lo ha detto il vicepremier Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Si tratta di garantire la sicurezza dell'intera Unione europea. C'è bisogno di rafforzare la sicurezza europea ma questo non significa essere guerrafondai. Per garantire la pace serve un equilibrio delle forze in campo per garantire la sicurezza dell'Europa e dell'Italia. Stiamo lavorando in questa direzione come un buon padre di famiglia che mette le finestre blindate perchè la sua famiglia sia al sicuro". Lo dice il vicepremier Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno. "Bisogna avere il coraggio di andare avanti: l'Europa è l'unico modo per essere sicuri".
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Meloni non ha attaccato Altiero Spinelli. Mi sembra una tempesta in un bicchier d'acqua. Spinelli è un personaggio illustre della storia europea, lo rispetto e la presidente Meloni non lo ha mai offeso". Lo dice il vicepremier Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - Sarà una 'magia comunicativa' delle sue, come dicono in Transatlantico dalle parti della maggioranza, quella di Giorgia Meloni che con l'attacco oggi in aula al Manifesto di Ventotene ha sviato l'attenzione dalle tensioni del centrodestra. Ma lo stesso effetto, la premier lo ha provocato anche nel campo avversario: le opposizioni divise, che si sono presentate in aula con 6 risoluzioni diverse, sono tornate a parlare con una sola voce nella difesa del Manifesto antifascista di Ventotene, testo fondante dell'Unione europea, sul quale la presidente del Consiglio ha detto di non riconoscersi: "Quella non è la mia Europa".
Duro il commento di Elly Schlein: "Giorgia Meloni ha deciso in aula di nascondere le divisioni del suo governo oltraggiando la memoria europea. Noi non accettiamo tentativi di riscrivere la storia". Scrive Matteo Renzi sui social. "La Meloni non ama Ventotene perché la storia di Ventotene dice il contrario della storia di Giorgia Meloni. Le prossime elezioni saranno un referendum tra chi crede nelle idee di Ventotene e tra chi crede in Giorgia Meloni. Noi non abbiamo dubbi su da che parte stare".
L'effetto delle parole della premier si è visto anche nel voto delle risoluzioni. Dopo le divisioni nel Pd sul piano ReArm Eu, composte in una lunga mediazione, si temevano comunque 'scarti' rispetto alle indicazioni di voto. Non si sono verificati. "Tutto il gruppo ha votato compatto", si fa sapere. E i tabulati lo confermano. Unica eccezione Lorenzo Guerini, che oltre alla risoluzione del Pd, ha votato a favore anche a quelle di Azione e Più Europa, meno critiche rispetto al testo dem sul piano ReArm Eu.
Nel dettaglio, il Pd ha votato ovviamente la sua risoluzione, bocciato quella della maggioranza, dato voto favorevole al punto del testo Avs in cui si dice no all'espulsione dei palestinesi da Gaza e contro, invece, alla richiesta sempre di Alleanza Verdi e Sinistra di interrompere l'invio di forniture militari a Kiev. Su quest'ultimo punto ci sarebbe stata qualche non partecipazione al voto tra i dem. Insomma, un risultato 'ordinato' dopo giorni di tensione nel Pd.
Altro punto che è stato rimarcato da tutte le opposizioni è stata l'assenza in aula, al momento delle dichiarazioni di voto, della premier Meloni. Dopo l'attacco al Manifesto di Ventotene, in aula si è accesa la polemica. Tra gli interventi è già virale sui social quello appassionato del dem Federico Fornaro. "Non è accettabile fare la caricatura di quegli uomini, lei presidente Meloni siede in questo Parlamento anche grazie a loro, questo è un luogo sacro della democrazia e noi siamo qua grazie a quei visionari di Ventotene che erano confinati politici. Si inginocchi la presidente del Consiglio di fronte a questi uomini e queste donne, altro che dileggiarli", ha gridato commuovendosi in aula.
Dopo le tensioni, il timing dell'aula è slittato di diverse ore, quando ormai Meloni era già in partenza per il Consiglio europeo a Bruxelles. Di fronte alle proteste per l'assenza della presidente del Consiglio è intervenuto in aula il sottosegretario Alfredo Mantovano: "I governo ha massimo rispetto nei confronti del Parlamento, e in particolare la presidenza del consiglio e la presidente del consiglio, che però aveva presente il programma originario dell'Aula che avrebbe concluso i lavori nel primo pomeriggio e in questo momento è già in volo per Bruxelles".
Una precisazione che non ha convinto le opposizioni. "Giorgia Meloni -attacca Elly Schlein- è fuggita di nuovo, non la vedevamo dal dicembre scorso e le volte che si è palesata in aula si contano sulle dita di una mano. Si è chiusa per mesi nel silenzio imbarazzato di chi non sa cosa dire o non vuole dire cosa pensa". E poi Giuseppe Conte: "Avete cambiato idea su Ventotene, ma sfiorate l'irriconoscenza. Presidente Meloni adesso è volata a Bruxelles, non vedeva l'ora, eppure poteva rimanere". Quindi Angelo Bonelli: "Questo è il manifesto di Ventotene, glielo avrei regalato alla presidente ma lei fugge dal dibattito parlamentare, anche perché ha un problema con la Lega".
Al netto delle posizioni diverse all'interno del campo delle opposizioni, tutti i gruppi di minoranza evidenziano di contro quelle presenti nelle maggioranza. E stamattina il capogruppo leghista Riccardo Molinari ha servito un assist su questo parlando in tv. Lo rilancia Schlein: "La Lega ha sostanzialmente commissariato la presidente Meloni dicendo che non ha mandato per esprimersi al Consiglio Ue". La segretaria Pd insiste nelle divisioni della maggioranza: "Nella vostra risoluzione, per non dividervi in tre posizioni diverse, avete fato sparire la difesa comune e il piano di riamo di Ursula von der Leyen, l'avete scritta con l'inchiostro simpatico. Facile far sparire le proposte divisive, ci credo che siete compatti, non avete scritto nulla".
Rimarca Maria Elena Boschi: "La Lega ha linea chiara, e l'ha detto: lei non ha mandato per andare al Consiglio Ue". E poi Riccardo Magi: "Meloni è scaltra e furba. Vuole farci parlare delle sue oscene parole e della sua esegesi sbagliata e truffaldina del Manifesto di Ventotene per nascondere che non ha una linea di politica estera e non ha una maggioranza in politica estera. Non lo dico io ma lo ha detto il capogruppo della Lega, Molinari". Ed ancora Bonelli: Meloni "oggi ha fatto scientemente quest'operazione" su Ventotene "perché Molinari lo ha detto chiaramente che non ha il mandato per dire sì a Rearm Europe". Infine Matteo Richetti di Azione: "Mentre discutevamo è uscita una dichiarazione di Molinari in cui dice che Meloni non ha il mandato per trattare: con tanti saluti per la risoluzione di maggioranza...".