Dall'inizio della crisi di Alitalia nel 2008 centinaia di comandanti e primi ufficiali hanno scelto l'estero per cercare e trovare possibilità di lavoro. Solo in Emirates negli ultimi cinque anni ne sono stati assunti 90 e decine di loro oggi prestano servizio in Qatar Airways, Etihad Airways e low cost che operano in Europa
Il volo EK205 che dal prossimo primo ottobre collegherà Milano Malpensa con New York è il simbolo di cinque anni di storia industriale italiana. Il Boeing 777ER pronto sulla pista con il muso puntato verso la grande mela avrà sulla coda baffi nero-rosso-verdi e sui fianchi bianchi la scritta dorata di Fly Emirates. Nell’aeroporto quasi del tutto abbandonato da Alitalia, il gigante mediorientale dichiara guerra ai padroni di casa su una delle loro ultime rotte intercontinentali e lo fa con piloti italiani, molti dei quali lasciati a casa proprio dalla nostra compagnia di bandiera all’inizio della crisi del 2008: sono centinaia i comandanti e primi ufficiali italiani, la maggior parte addestrati dalla stessa Alitalia, che ogni anno scelgono l’estero per cercare e trovare possibilità di lavoro e carriera che al di qua del Mediterraneo possono soltanto sognare. E che poi tornano in Italia con altre divise a fare concorrenza ad un’azienda ormai incapace di competere sui mercati internazionali.
L’emorragia dura da almeno cinque anni e non accenna a fermarsi. Solo in Emirates, l’ottavo gruppo al mondo per ricavi secondo il report 2012 di Flightglobal Insight, oggi i piloti italiani sono oltre 120. “Soltanto dal 2008 ne sono stati assunti 90”, spiegano da Inc-Istituto Nazionale per la Comunicazione, che di Emirates cura i rapporti con la stampa in Italia. E sono tantissimi quelli che ogni anno provano ad entrare. A centinaia, poi, sono emigrati nelle altre due compagnie mediorientali più grandi, Qatar Airways e Etihad Airways, in Estremo Oriente verso Singapore, Cina, Giappone, India, Indonesia, ma anche Turchia, Russia e Africa, dove la domanda è talmente forte che la compagnie non hanno tempo per formare i loro piloti e devono prenderli già addestrati in Europa.
“Molti erano tra quei 900 che Alitalia mise in cassa integrazione nel 2008, all’inizio dell’ultima crisi – spiega Danilo Recine, direttore generale dell’Anpac, l’Associazione nazionale dei piloti – uno spreco incredibile di professionalità: negli anni la compagnia ha investito milioni nei corsi che hanno formato questi piloti, che ora per lavorare devono andare all’estero e fanno la fortuna delle compagnie straniere”. I motivi per andarsene sono tanti: contratti migliori, benefit che da noi sono un miraggio e possibilità di carriera, altrettanto inesistenti nelle compagnie italiane (“In Alitalia ci sono colleghi con 15 anni di lavoro nella compagnia che non riescono a fare il corso per diventare comandanti”, continua Recine). Emirates, ad esempio, chiede che il pilota si trasferisca a Dubai con la famiglia, perciò gli trova la casa (compound da 200 metri quadri arredati, con giardino e piscina), paga le scuole private ai figli (fino a 12 mila euro l’anno per i primi tre figli) e l’assicurazione sanitaria a tutta la famiglia.
Ma non ci sono solo gli Emirati nell’orizzonte degli italiani. “Sto emigrando a Shanghai – racconta un comandante, in mobilità dopo 15 anni di Alitalia, che preferisce restare anonimo – con uno stipendio che è il triplo di quelli italiani, su cui mi pagherò da solo i contributi. Lavorerò in Juneyao Airlines, una compagnia piccola ma in fortissima espansione, a differenza di Alitalia“. Il gap è notevole e non accenna a diminuire. A inizio luglio Emirates ha annunciato il 25esimo anno fiscale consecutivo in attivo, con “un utile netto per il gruppo di 642 milioni di euro (+34%), un fatturato di 16 miliardi (+17%)” e “nuovi aerei ordinati per un valore di 73 miliardi di dollari“, spiegano ancora dall’azienda. Qatar Airways (il 24° gruppo al mondo) non dà cifre sui ricavi ma “ha ordinato 250 aerei per oltre 50 miliardi di dollari” e anche Etihad Airways (34°) cresce a ritmi vertiginosi e ora sta rilevando il 49% della compagnia di bandiera serba Jat Airways, futura Air Serbia.
E Alitalia, oggi 36esima nel ranking mondiale (leggi la classifica)? Roberto Colaninno, presidente della compagnia privata nata dalle ceneri dell’ex azienda pubblica, a inizio luglio ha annunciato che perderà soldi anche nel 2013 (il 5° anno di fila con i conti in rosso), con l’amministratore delegato Gabriele Del Torchio che aggiungeva che a dicembre sarà necessaria “una liquidità pari a 300 milioni”. “Alitalia contrae – prosegue Recine – e subisce anche dalle low cost, che in Italia la fanno da padrone: ora, ad esempio, Easyjet cresce e sta assumendo”. “Vero, da noi è pieno di piloti ex Alitalia”, conferma Ivan Anzellotti, 39 anni, romano, otto anni e mezzo in Alitalia, tra i primi ad andare in cassa integrazione nel 2008. I piloti hanno provato ad opporsi, ma erano soli: “Alle manifestazioni i sindacati ci dicevano di stare buoni, ‘Abbiamo una strategia a lungo termine’, dicevano. Renata Polverini, all’epoca a capo di Ugl, assicurava: ‘Firmate, è un buon accordo’. Poi è diventata presidente della Regione Lazio“. Tre anni in Qatar Airways, poi il ritorno in Europa con Easyjet a gennaio 2012. Ora Anzellotti vive in Portogallo, a Cascais, con sua moglie: “Tornare? No, in Alitalia no, nemmeno se tornasse ad essere una grande compagnia. Non mi fido più”.