Siamo quasi pronti. Fra pochi giorni ci risiamo, incomincia il campionato di calcio, la vicenda esemplare di un paese che sta male, ma non vuole cambiare. Il calcio vive sulla passione dei tifosi, sulla loro irrazionalità, sulla loro noncuranza di fronte alle miserie, alle disgrazie, perfino ai saccheggi e alle ruberie, così come la gran parte dei cittadini sta a osservare davanti a governi che non governino, a istituzioni che non istituiscano, ad aziende che non producano.
Non importa che le società di calcio siano gestite malissimo e stiano in piedi o in virtù di attività borderline se non illegali, oppure grazie a ‘generose’ oblazioni di proprietari, obbligati a sedere a un tavolo da un gioco senza regole o peggio con le regole dei malfattori. In Italia, si sa, gli imprenditori non sono delle mammolette per quanto riguarda la loro devozione alle leggi, ma nel mondo del calcio chi non è disposto a fregare anche sua madre passa per fesso.
Parliamo ovviamente del calcio professionistico, che in qualche modo dovrebbe essere disciplinato e controllato anche da apposite istituzioni pubbliche sportive (CONI- FIGC) (Statuto della Figc, artt. 1-2 -3-4), oltre che dalla associazione dei privatissimi presidenti delle società di serie A e B (Lega). Invece, a partire dalle regole di base, non si sa chi decida cosa. Non si capisce ad esempio quali siano i veri criteri che consentono a un giocatore di indossare una maglia; a un allenatore di allenare; a un arbitro di arbitrare. Le capacità dei partecipanti non sono certe e davanti ad alcune situazioni il dubbio diviene sicurezza che siano determinanti altri interessi, altre ragioni, legate al denaro, ai procuratori, ai gruppi egemoni. E nel frattempo tutto ciò che intralcia questa giungla, questi bassi traffici viene fatto fuori.
Così il doping è un tabù, visto che nessuno a incominciare dall’UEFA ha finora introdotto controlli seri, che se per il calcio si fosse fatto un terzo di quello che si applica al ciclismo…; le scommesse, che ogni tanto più per l’azione di qualche Magistrato, che per opera della giustizia sportiva affiorano come elefanti in salotto, sicché – almeno vedendo certe partite – resta il forte dubbio che le combines ora come in passato prosperino, proprio in conseguenza dell’assenza di regole e della radicale carenza di legalità che avvolge il mondo del calcio professionistico. E tutti possono dire tutto di tutti, e guai se tu accusi me, perché il più buono ha la rogna e il campanilismo mette la sua pietra tombale all’incorreggibilità del sistema.
Nel sottofondo ovviamente qualcuno ci guadagna, eccome. Ci campano le televisioni, che anche se sono praticamente l’unico cespite del nanismo imprenditoriale delle società calcistiche, in realtà hanno i loro affari e sono riuscite a costruire un monopolio di fatto dell’informazione calcistica, grazie all’assenza delle istituzioni, alla dabbenaggine dei consumatori-tifosi e al solito sonno delle Authority preposte. Ci campano i procuratori, i dirigenti e i proprietari, che non si fanno mancare nulla. Ci campano i giocatori, che dietro la manfrina in braghe corte riescono a portare a casa compensi vergognosi, non solo per la situazione economica del paese, ma soprattutto per l’oggettiva improduttività del sistema calcio nell’economia italiana.
Insomma lo sport più bello del mondo è lo specchio di quella miseria che non appartiene solo alla filosofia. In più è talmente radicato nel sistema-paese, che puoi parlare male del Papa o del Presidente della Repubblica, ma guai a svelare qualche altarino del calcio professionistico, perché rischi di finire nel lebbrosario dell’informazione. Fra un po’ si incomincia, palla al centro e buon divertimento a tutti!