Solo con Unicredit, come evidenzia un documento interno del 2005, Regioni ed enti locali avevano attivi contratti derivati per ben 4,1 miliardi di euro. Una cifra enorme, equivalente a ciò che servirebbe per evitare, almeno quest’anno, l’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento.
Il documento offre innanzitutto una rappresentazione illuminante del fatto che il ricorso a strumenti derivati è stata una pratica assai diffusa, che ha abbracciato amministrazioni in lungo e in largo per il Paese, indipendentemente dal relativo colore politico. E poi mette in luce come tanti di quei 4,1 miliardi di derivati sarebbero ancora attivi. Il condizionale è d’obbligo perché a tutt’oggi non esistono in materia strumenti di rilevazione statistica in “tempo reale” sulle negoziazione dei derivati da parte delle amministrazioni pubbliche. Non tutte le sezioni di controllo regionali della Corte dei conti sono infatti attrezzate per mappare con precisione e tempestività la diffusione dei contratti derivati e quando lo sono i numeri non sono aggiornati. Inoltre il Mef, a cui dovrebbero essere segnalati i dati sulla esposizione in derivati da parte di tutti gli Enti Pubblici, non ha mai diffuso i relativi dati.
Certo, scorrendo la lista dei contratti stipulati con Unicredit dal 2002 al 2005 con scadenze fino al 2033, c’è da impallidire. Solo per citare alcuni esempi, Torino, al pari della Regione Lazio avrebbero in pancia ancora circa 348 milioni di derivati; Milano 595 milioni (203 milioni sono scaduti nel 2011), Trento 48, Bolzano 69, Ravenna 83, Pordenone 38, Viareggio 40, la Regione Molise 50, Pescara 39, Genova 47, Cosenza 44, Ancona 50. Cifre, queste, che peraltro sarebbero solo una parte del monte di derivati che gli enti locali hanno contratto.
Viene naturalmente da chiedersi quanta disinvoltura ci sia stata da parte di troppi amministratori locali negli scorsi anni nel maneggiare la rischiosa materia.
Ma soprattutto se ai Comuni e ai suoi attuali reggenti è nota l’esistenza di una concreta via di fuga per liberarsi dei derivati stipulati in passato.
Si tratta dell’annullamento in autotutela del contratto, esperibile in presenza di vizi procedurali nella sottoscrizione dei derivati, come l’assenza, nel caso dei Comuni, di una delibera da parte del consiglio comunale. Che è l’unico soggetto titolato a deliberare su “spese che impegnino i bilanci successivi per gli esercizi successivi”. Come ha anche confermato una sentenza dei primi mesi di quest’anno del Tar Piemonte, con cui il Comune di Omegna ha potuto rescindere gli impegni assunti a suo tempo con Unicredit. Proprio perché il Comune stesso aveva deliberato solo con un atto della Giunta.
Come ci ha spiegato l’avvocato torinese Luca Guastini, esperto di diritto finanziario che ha studiato uno ad uno i derivati del Comune di Torino – di cui ha chiesto pubblicamente l’annullamento in autotutela – “il TAR Piemonte con la sentenza in esame ha chiarito i confini della giurisdizione amministrativa usando criteri di semplice individuazione: sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo qualora l’annullamento in autotutela si basi su vizi del procedimento a monte della stipula del contratto, quali ad esempio l’incompetenza dell’organo o la mancanza di una procedura di evidenza pubblica per la selezione della controparte. Qualora invece l’annullamento in autotutela sia giustificato da vizi attinenti al contratto, quali la violazione degli obblighi informativi o la natura speculativa dei contratti, non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ma dovrà ricorresi al giudice ordinario”
E’ sulla scorta di questa distinzione che in effetti il TAR Piemonte, ha trattenuto la giurisdizione e si è concentrato sulla incompetenza della giunta a decidere circa la stipula di un contratto derivato confermando quanto dedotto dal Comune. In particolare, poiché i contratti derivati comportano costi che impegnano il bilancio degli esercizi successivi, la competenza spetta esclusivamente al consiglio comunale, secondo l’art. 42 del D.lgs. 267/2000 (il Testo Unico degli Enti Locali). “In presenza di detto vizio – ci ha detto Guastini – , a nulla rileva che l’autotutela sia stata esercitata dal Comune ben nove anni dopo la stipula dei contratti a valle delle delibere della giunta annullate: anche un termine di nove anni è ragionevole per esercitare l’autotutela se è stata violata la competenza primaria dell’organo consiliare”.
Conseguentemente sono da considerasi nulli e privi di effetti i contratti stipulati ed eseguiti in base alle delibere annullate, con la chiusura del derivato senza alcun esborso e, anzi con gli effetti restitutori che scattano in questi casi.
“Ci pare, dunque – ha confermato Guastini – che si profilino per gli enti pubblici nuove ed importanti possibilità di soluzione del “problema derivati”, diffusissimo non soltanto tra i grandi Comuni, ma anche in centri piccoli e piccolissimi”
La domanda sorge spontanea: cosa aspettano Regioni ed enti locali che abbiano deliberato non passando dal vaglio delle rispettive assemblee a disfarsi dei propri derivati usando lo strumento dell’annullamento in autotutela?
@albcrepaldi