Si rimane silenziosi innanzi alle opere dell’artista elvetica, sorpresi. D’improvviso trascinati in uno spazio non più terreno. Soli, inghiottiti davanti all’immagine. Gli scatti della Kung sono inesorabili, fermarsi un attimo ad osservarli equivale ad essere improvvisamente tele-trasportati in un non-luogo, una dimensione reale ma rarefatta, di forme note che sbucano dalla realtà e dalla memoria e si dispiegano nel sogno.
I biancori abbaglianti delle immagine alpine racchiudono forme complesse, dettagli da miniaturista che l’occhio registra prima ancora che possano essere percepiti, elaborati. Gli alberi, immortalati come sculture, come arazzi fiamminghi in alta definizione, ci vengono offerti come singoli, inimitabili capolavori di natura, di forma, di immobilità in movimento. Se ne sente, sottovoce, il respiro.
Disarmante, spettacolare, l’immagine dell’isola Tiberina lambita dalle acque del Tevere in piena. Una gioiosa “Isola dei Morti” di Boecklin, seducente, barocca e tropicale. La milanese Torre Velasca, da molti considerato edificio tra i più brutti al mondo (fonte Daily Telegraph) assume, nell’immagine della Kung, voluttà ed eleganze tali da meritarsi a pieno titolo la copertina della sua ultima raccolta di opere, “The Invisible City“.
Le immagini dell’artista sono sempre frontali, siano esse di un monumento o del dettaglio di un ortaggio. Costringono a rivolgersi verso di loro, davanti, al loro cospetto. In quest’attimo, d’improvviso, scompare la loro bidimensionalità e si entra nel loro regno, un’esperienza tridimensionale e sensoriale.
Se il suo successo si misura dal numero di imitatori, la Kung continua ad animare dibattiti sulle sua avanzatissima tecnica di post-produzione. Chi ha paura di Irene kung, non solo in rete? Direttamente da Pechino la mostra itinerante “Dreams of tree, horses and cities” è approdata a Saanenmoser, villaggio idilliaco all’imbocco della Simmenthal. Per poi proseguire a Mosca e New York.