Settantamila prostitute, 9 milioni di clienti per un giro d’affari di 5 miliardi di euro. Sono le stime sul mercato della prostituzione in Italia elaborate dalla Commissione Affari Sociali della Camera nel 2010. Numeri aleatori e probabilmente in continua mutazione. Sebbene non ci sia modo di verificarne nel concreto la piena attendibilità, è chiaro che il fenomeno della prostituzione, di strada o al chiuso, ha le proporzioni di una grande industria.
Questo senza contare i fiumi di quattrini che ogni anno se ne vanno verso i paradisi della prostituzione, sempre più vicini e a portata di mano. Dalla Svizzera all’Austria, passando per la Germania e l’Olanda, l’italiano a caccia di sesso a pagamento non disdegna le scappatelle oltre confine. Alcuni tra i più grandi bordelli europei sono costruiti strategicamente a pochi passi dal confine italiano, è così in Svizzera dove nel piccolo Canton Ticino operano circa 400 prostitute in una decina di strutture autorizzate. La più grande sexy spa d’Europa sta aprendo in questi giorni a dieci minuti d’auto da Tarvisio, in Carinzia (dove operano già 40 strutture a luci rosse). Nel nuovo centro benessere austriaco, che ha richiesto un investimento da 7 milioni di euro, lavoreranno fino a 140 prostitute. I siti internet degli Fkk tedeschi (centri benessere per soli uomini dove trascorrere del tempo con escort e intrattenitrici) sono quasi tutti tradotti in italiano, in rete si trovano facilmente gli elenchi di quelli meglio raggiungibili dall’Italia, tra Monaco e Francoforte.
Una fetta di mercato che sfugge a qualunque controllo sociale, sanitario e fiscale. Miliardi di euro che, quando non vanno all’estero, finiscono per alimentare gruppi criminali o, più semplicemente, entrano esentasse nelle tasche di prostitute e protettori. Un fenomeno che in Italia rappresenta un costo umano e sociale incalcolabile. Non solo. Ogni anno il nostro paese rinuncia al potenziale gettito fiscale che potrebbe derivare dalla regolamentazione di questo settore e, in tempi in cui si parla di rincaro delle aliquote iva e introduzione di nuove tasse, sono in molti a spingere per l’abrogazione della legge Merlin (quella che nel 58 decretò la chiusura delle case di tolleranza in Italia), in tutto o in parte, al fine di permettere a gestire diversamente questo fenomeno. In tutta Europa ci sono diversi paesi (Austria, Germania, Grecia, Lettonia, Olanda, Svizzera, Regno Unito e Ungheria) che hanno scelto di regolamentare il settore e tassare le prostitute, trattando il mestiere più antico del mondo come una qualsiasi altra professione, o quasi.
ABROGHIAMO LA MERLIN – Così, anche dalle nostre parti puntualmente torna a farsi viva l’ipotesi di tassare la prostituzione e regolamentarla con finalità più o meno nobili. Nei palazzi romani l’ultima proposta è arrivata dal senatore leghista Massimo Bitonci: “Inutile nascondersi dietro falsi moralismi. La prostituzione esiste da sempre e il 75% degli italiani è favorevole alla riapertura delle case chiuse, anche per fermare violenza e sfruttamento. Far emergere questo giro d’affari significa per lo Stato e gli enti locali incassare abbastanza risorse per evitare aumenti di tasse e forse anche per abbassare una serie di imposte”. Ma lo stesso tasto viene battuto anche dalla società civile. Nei giorni scorsi, su iniziativa del sindaco di Mogliano Veneto, è stato pubblicato in gazzetta ufficiale il testo di un referendum che va nella stessa direzione indicata da Bitonci e a settembre partirà la raccolta firme.
COSA SUCCEDE IN EUROPA? – Ma come viene regolamentato il settore nel resto dell’Europa? Quali sono i modelli che sono riusciti ad interpretare al meglio la questione? Come cambiano, se cambiano, le condizioni sociali dei sex workers in questi paesi? È proprio vero che con la regolamentazione la criminalità smette di guadagnare e di sfruttare? Abbiamo cercato di capirlo parlandone con esperti, imprenditori e legislatori dei diversi paesi che dal 2000 ad oggi hanno introdotto leggi per la regolamentazione del settore. L’effetto più visibile delle normative sulla regolamentazione nei diversi paesi è il miglioramento del “decoro” urbano: strade e sobborghi vengono ripuliti dalla prostituzione di strada, inoltre diminuisce il costo sociale di una diffusa e incontrollata attività criminale sul territorio. Sebbene siano più controllati e confinati, non è provato che si arrivi a una significativa riduzione dei crimini legati alla prostituzione e, soprattutto, a una decina di anni dall’introduzione delle principali leggi in diversi paesi europei, non viene riscontrato un deciso miglioramento delle condizioni delle prostitute che in buona percentuale continuano a rimanere vittime di tratta e sfruttamento, rimanendo spesso nell’ombra.
I numeri sono difficili da determinare, estrapolati da un complesso intreccio di dati e informazioni tra l’ufficiale e l’ufficioso, raccolti da associazioni ed enti che non sempre utilizzano metodi scientifici e soprattutto differiscono, per attendibilità, da paese a paese. Così anche il quadro tracciato dalle Nazioni Unite, serve a dare un’idea di massima, a delineare un trend. Il quadro eruopeo parla di un fenomeno distribuito su tutto il territorio, in Austria è stimata una presenza di 20 mila prostitute, in Germania sono fra le 300 e le 400 mila, in Grecia più di 30mila, altrettante in Olanda, in Lettonia circa 10mila, in Svizzera 8mila, in Ungheria 10mila. I numeri non sono inferiori nei paesi che non regolamentano il settore. In Italia si è già detto che è stimata una presenza di 90mila prostitute, in Spagna tra le 50 e le 250mila, in Francia circa 40 mila, in Polonia altrettante, 80mila nel Regno Unito. I numeri crescono, anche di molto, quando si prendono in considerazione le forme di prostituzione occasionale, ovvero gli individui che praticano l’attività per un periodo limitato e non ne fanno la propria attività principale. Marina Mancuso, ricercatrice e dottoranda presso Transcrime (Joint Research Centre on Transnational Crime) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha spiegato: “Anche nei paesi europei che adottano un approccio cosiddetto regolamentarista (ovvero dove esistono leggi che regolamentano l’esercizio della prostituzione, nda) continua a esistere il fenomeno della tratta ai fini di sfruttamento sessuale dal momento che, al pari di tutti gli altri paesi, offrono opportunità criminali che vengono intercettate dai trafficanti”.
I MODELLI – Restando in ambito europeo gli approcci al fenomeno sono radicalmente diversi da paese a paese. Si va dal proibizionismo (la prostituzione è vietata per legge, vengono perseguiti i clienti, come in Svezia, Norvegia e Islanda) al regolamentarismo passando dall’abolizionismo (che punisce sfruttamento, reclutamento e favoreggiamento della prostituzione) fino al neo abolizionismo (è il caso di Italia e Francia, dove si colpisce in particolar modo la prostituzione al chiuso, mentre si tollera quella all’aperto), ciascuno con le sue sfumature e le sue eccezioni. La prostituzione è regolamentata per legge in Germania, Olanda, Svizzera, Austria, ma anche Grecia, Regno Unito, Ungheria e Lettonia. Ognuno di questi paesi ha scelto la propria formula, dai bordelli statalizzati alla creazione di quartieri a luci rosse, fino alla concessione di specifiche licenze. Non è facile ottenere dei dati ufficiali, anche contattando fonti governative, spesso si ottengono risposte evasive e numeri aleatori. È evidente che, anche laddove la prostituzione è formalmente legale e lo Stato incassa la sua parte, rimane un’area grigia. Una zona d’ombra, più o meno vasta, popolata da quella fetta di persone che per varie ragioni non hanno convenienza (o non riescono) ad emergere dall’illegalità.
Il modello proibizionista, specialmente quello adottato in Svezia, poi in Norvegia e Islanda, è quello che sembra dare i maggiori risultati: la prostituzione è vietata sempre sia al chiuso che all’aperto. Vengono perseguiti i clienti in quanto la prostituzione viene sempre considerata una forma di violenza nei confronti della donna, anche quando questa sia consenziente. Infatti in questi paesi il numero di persone coinvolte nella prostituzione è generalmente molto basso, ma non è escluso che un simile approccio, in paesi più difficilmente sorvegliabili (maggiormente popolati) possa produrre un effetto opposto, favorendo la creazione di un mondo sommerso, dove sarebbe ancor più difficile controllare. Il modello abolizionista e, in particolare quello neo abolizionista adottato dall’Italia, non considera la prostituzione un attività illegale, ma vengono punite e perseguite una serie di reati correlati, come sfruttamento e favoreggiamento.
Un punto di vista privilegiato sul fenomeno lo fornisce Andrea Di Nicola, professore di criminologia all’Università di Trento, autore di studi per il Parlamento europeo e per la Commissione europea su tratta e prostituzione, compreso quello che ha classificato i diversi modelli sopra descritti. “Quale sia il modello migliore non lo sappiamo. La panacea non esiste e questo va detto – spiega Di Nicola -. Ogni modello ha i suoi limiti, ma senza ombra di dubbio l’approccio dello struzzo, ovvero di chi mette la testa sotto la sabbia perché è più facile non vedere che affrontare il problema, non porta a nulla di buono”. Tralasciando aspetti di carattere etico, la politica per fare le proprie scelte dovrebbe basarsi sui dati. La raccolta dei dati in questo settore è particolarmente complessa, ma si possono fare anche delle valutazioni in astratto: “Il sistema adottato dall’Italia, ovvero quello di consentire la prostituzione senza regolamentarla, è quello che presenta i maggiori costi”. E non si parla solo di costi diretti: “Ci sono i costi umani, quelli legati alla criminalità, quelli sanitari, quelli sulla sicurezza percepita (come ad esempio il deprezzamento case nelle zone ad alto tasso di prostituzione). Si può dire che ragionando per astratto il modello italiano ha più costi rispetto a quei paesi che adottano politiche di regolamentazione”. Preferibile dunque una regolamentazione del settore: “La regolamentazione farebbe emergere tutta la parte di nero non sfruttato, distinguerebbe inoltre il lecito dall’illecito, eliminando o riducendo quelle zone grigie dove non si capisce bene chi è punibile per quale reato”. Insomma dove esiste una regola chiara si capisce meglio quello che si può e quello che non si può fare e, di conseguenza, chi va perseguito e chi no.
LEGGE E VIOLENZA – Scendendo nel dettaglio, dalle ricerche di Transcrime è emerso che il ricorso alla violenza nella prostituzione “trafficata” non è direttamente dipendente dal tipo di politica sulla prostituzione: “Sembra essere una componente intrinseca al reato che dipende più da altri fattori, come ad esempio l’applicazione della legislazione – continua Marina Mancuso -. Quello che è comunque emerso dall’analisi fatta è che nei paesi abolizionisti e neo-abolizionisti (come l’Italia) ci sono livelli di violenza leggermente superiori agli altri. Questo però non può essere attribuito con certezza alla politica adottata. Fattori come la minore percezione di rischio di essere identificati ed arrestati e la maggior competizione tra diversi gruppi criminali possono sicuramente spiegare questa maggiore violenza”. Indipendentemente che la prostituzione sia regolamentata o meno, la tratta ai fini dello sfruttamento sessuale è dunque presente in tutti i paesi e le stime elaborati da ECrime dell’Università di Trento, lo confermano: sono 22mila casi stimati ogni all’anno in Germania, 35 mila in Italia, 11500 in Francia, 15 mila in Spagna, 7 mila in Olanda, 4 mila in Polonia e Austria, 3500 in Belgio e 500 in Svezia. Sono spesso donne prelevate in paesi ad alto tasso di povertà e costrette a prostituirsi con forme di costrizione che sono cambiate nel corso degli anni, con una riduzione dell’incidenza della violenza fisica a favore di una costrizione consenziente, spesso dettata da una reale mancanza di alternative.
PROSTITUZIONE E CRIMINALITA’ – Da sfatare, stando alle informazioni fornite da Transcrime, il luogo comune secondo cui a gestire traffici di squillo, in Italia come nel resto d’Europa, sia direttamente la criminalità organizzata tradizionale: “Dalla letteratura emerge come la tratta per sfruttamento sessuale non sia un mercato illegale direttamente gestito dalle organizzazioni criminali tradizionali (Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta) – puntualizza la ricercatrice -. Queste infatti per ragioni culturali tendono ad investire in mercati diversi, che non implicano uno sfruttamento della donna. Il loro coinvolgimento in questo reato sembra essere più indiretto. Ad esempio autorizzare l’uso di un tratto di strada per la prostituzione outdoor in cambio di altri favori”. E, ancora: “Nel caso dello sfruttamento indoor possono infiltrarsi nei locali pubblici quali night club, richiedere tangenti ed arrivare ad avere un controllo economico sull’attività. In generale comunque sono network criminali di matrice etnica ad investire nella tratta per sfruttamento sessuale. In Italia un ruolo centrale è giocato dai network criminali est-europei e dell’Africa occidentale”.