Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale le regole che il Garante Privacy si è dato per stabilire quanto trasparente sarà, negli anni che verranno, nel raccontare ai cittadini se stesso ovvero nel pubblicare – come prescritto dalla nuova disciplina in materia di trasparenza dell’amministrazione – sul proprio sito internet i curricula e gli stipendi dei membri dell’Authority, i profili dei consulenti dei quali si avvarrà e gli emolumenti che riconoscerà loro, i tempi di evasione dei procedimenti e, soprattutto, il contenuto dei provvedimenti che adotterà oltre ad una lunga serie di altri dati, documenti ed informazioni.

E’ un provvedimento importante non tanto perché da esso, naturalmente, dipende il livello di trasparenza di una delle Autorità indipendenti più importanti nel nostro Paese, ma, soprattutto, perché, inevitabilmente, le regole che il Garante privacy si è dato sono destinate a rappresentare un esempio per le altre Autorità indipendenti cui la legge ha attribuito il potere di auto-disciplinarsi nell’attuazione della disciplina nazionale sulla trasparenza ma anche per le altre amministrazioni che, certamente, guarderanno al Garante Privacy come modello da seguire e, magari, da imitare nell’interpretare il c.d. Decreto Trasparenza.

Ed è proprio per questo che alcune delle regole che il Garante si è dettato suscitano qualche perplessità. Tanto per cominciare mentre il Decreto Trasparenza prevede espressamente che “le  amministrazioni  [n.d.r. nel pubblicare sui propri siti internet i dati e le informazioni] non possono disporre filtri e altre soluzioni tecniche atte ad impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare ricerche all’interno della sezione «Amministrazione trasparente»”, il Garante Privacy, al contrario, si riserva proprio il potere di “disporre filtri e altre soluzioni tecniche atte ad impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare ricerche all’interno della sezione «Autorità Trasparente» relativamente ai dati personali, anche contenuti in documenti”.

Nel merito nessuna sorpresa perché il Garante aveva già espresso la propria opinione a proposito dell’inopportunità di lasciare che i motori di ricerca “draghino” le “aree trasparenza” delle amministrazioni e ne indicizzassero tutti i contenuti nel proprio parere reso al Governo prima del varo del Deccreto Trasparenza. Sempre nel merito, la posizione del Garante, potrebbe anche essere ritenuta condivisibile da taluno: il confine – ammesso che debba esisterne uno – tra pubblico e comunque accessibile, nel nuovo contesto telematico, è ancora tutto da definire.

Nel metodo, tuttavia, la questione è diversa. C’è un’Autorità indipendente che decide di applicare a se stessa una legge dello Stato in termini diametralmente opposti rispetto a quanto – a torto o a ragione – deciso dal Governo. E’ un pessimo esempio per le altre Amministrazioni, una grave violazione del principio di legalità ed una brutta mancanza di rispetto istituzionale. Sul punto occorre essere molto chiari e cercare, per quanto possibile, di essere obiettivi: il primo errore lo ha probabilmente commesso il Governo nel decidere di adottare un provvedimento normativo con uno straordinario impatto sulla tutela della privacy, discostandosi completamente dall’indicazione dell’Autorità indipendente cui la legge affida il compito, tra l’altro, di guidare Governo e Parlamento nel dettare le regole della materia.

Tanto, però, non è sufficiente a giustificare il gesto di “insubordinazione istituzionale” del Garante che, nella sostanza, con il proprio provvedimento appena pubblicato in Gazzetta dichiara candidamente di aver intenzione di disapplicare la regola che il Governo ha dettato per tutte le amministrazioni dello Stato.

Ma non basta perché  a scorrere il testo del regolamento del Garante Privacy viene il dubbio che quest’ultimo abbia inteso riservarsi il “privilegio” di essere un po’ meno trasparente delle altre amministrazioni dello Stato anche in termini di durata della pubblicazione dei dati e delle informazioni, di riuso delle informazioni medesime da parte dei cittadini e, forse, anche di novero delle informazioni da pubblicare: ad esempio non è, probabilmente, secondario saperne di più sulle situazioni patrimoniali dei familiari dei membri di un’Autorità indipendente perché, talvolta, l’indipendenza può anche essere minata proprio da questioni di carattere familiare ma il Garante Privacy non sembra intenzionato a pubblicare tali informazioni che, invece, dovranno pubblicare coloro che ricoprono posizioni di indirizzo politico all’interno delle amministrazioni.

La sensazione, insomma, è che il Garante privacy rivendichi, per se stesso, un po’ di privacy in più e un po’ di trasparenza in meno rispetto alle altre amministrazioni. A questo punto non resta che stare a vedere come si comporteranno le altre amministrazioni nella speranza che le scelte del Garante Privacy non finiscano per rappresentare un alibi per rinviare, ancora, l’appuntamento con la trasparenza: è un lusso che non possiamo permtterci oltre.

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