“Dobbiamo riflettere sul perché non abbiamo vinto. Ciascuno ha fatto la propria stagione e ha dato un contributo al Paese. Però si apre una fase nuova. C’è chi avrà il suo posto nel Pantheon del Pd, ma certo non si vive nel blasone dei capicorrente”. Chi afferma queste cose renziane, per staffilare l’attuale gruppo dirigente del Pd, è Francesco Boccia, anti-renziano e braccio destro del capocorrente Enrico Letta. Lo fa nel documento preparato per aiutare Letta al prossimo congresso del Pd ma che sembra invece affossarlo.
Quel riferimento a chi “ha fatto la propria stagione e ha dato un contributo al Paese” appare un involontario ma inequivocabile invito a sgombrare il campo, di fronte alla fase nuova che si apre, rivolto anche a chi è stato dirigente democristiano da bambino negli anni Ottanta, presidente dei Giovani democristiani europei, vicesegretario nazionale del Partito Popolare Italiano, ministro per le politiche comunitarie del governo D’Alema I, ministro dell’industria nei Governi D’Alema II ed Amato II, in tempi più recenti vicesegretario di Bersani e ora presidente del Consiglio. Sarà anche per questo che il primo a prendere formalmente le distanze dal documento-mozione pomposamente chiamato da Boccia “Italia riformista. La sinistra che governa”, è stato proprio Letta.
Del resto, afferma polemicamente il documento-Boccia, “una sinistra incapace di spalancare le finestre e prendere una boccata d’aria, sempre alla ricerca di eroi, capitani, martiri, nuovi papi, salvatori della patria senza comprendere che non ci può essere un leader senza programma mentre si può sempre costruire un leader sulla base di un programma”. Affermazione che sembra anch’essa – anziché, come nelle intenzioni del suo estensore, una bella tramvata per i competitori interni di Letta – una censura tutta diretta proprio contro un dirigente di partito che, dopo aver fatto una campagna elettorale con un programma nettamente alternativo a quello del centrodestra, presiede oggi un governo “delle larghe intese” con il Pdl e Berlusconi, esplicitamente (e inevitabilmente) senza alcun programma se non quello di tirare a campare. Anzi, con un programma esattamente all’opposto di quello evocato sino al giorno prima di avere l’incarico da Napolitano.
Per il Letta della campagna elettorale, infatti, bisognava addirittura, grillinamente, “aprire una commissione parlamentare d’inchiesta su Berlusconi”. Comunque “in questa legislatura bisogna rimediare a tutti i costi” all’errore fatto negli anni Novanta, quando il Pd ha governato,”di non riuscire a fare una buona legge sul conflitto di interessi e la riforma del sistema radiotelevisivo. E anche se i buoi sono scappati dalla stalla, in questa legislatura bisogna rimediare a tutti i costi: il Pd obbligherà Berlusconia sciogliere i suoi conflitti di interesse se si vuole ricandidare”.
Anche dopo i risultati elettorali, che pure determinarono, com’è noto, l’impossibilità da parte del Pd di fare un governo senza l’alleanza con Berlusconi, il vice del segretario del Pd Letta ha continuato a ribadire che “nel dire no a un governo con Berlusconi non dobbiamo avere alcuna ambiguità”. La Grande coalizione? “Fossimo in Germania e ci fosse la Merkel sarebbe la soluzione perfetta. Purtroppo siamo in Italia e c’è Berlusconi”. Il fatto è che “l’agenda del Pdl ha un solo punto: la difesa di Berlusconi”. Berlusconi che propone un governo della concordia? Rispondeva Letta: “Ma con quale coraggio e con quale coerenza lo fa, dal momento che nell’unico caso in cui sostenevamo lo stesso governo per fronteggiare la crisi più grave del dopoguerra ha tolto la spina prima del tempo solo per i suoi interessi, perché voleva andare a fare la campagna elettorale? Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile”.
Ora, visto che per quel documento “non ci può essere un leader senza programma”, che dovremmo pensare allora di Letta? Probabilmente, proprio quello che afferma Boccia (beninteso non riferendosi intenzionalmente a Letta): che fa parte, da protagonista, di una classe dirigente che “può sopravvivere, e bene, sino alla pensione ma non costruisce nulla, non mette nemmeno un mattone, riesce a malapena a perpetuare una vita dorata per sé, i suoi familiari e i compagni di merenda”. Fra i quali, se si trattasse di Letta, non si potrebbe non comprendere in primis proprio Boccia.
Più rottamatore di Renzi, Boccia arriva a bocciare non solo i propri compagni di partito, ma sembrerebbe la sinistra in quanto tale, sino a mettere insieme, anche nel linguaggio, un documento che probabilmente firmerebbe anche la Santanché: “Non basta più dire che gli altri sono brutti e cattivi, oggi bisognerebbe, invece, dire cosa fare e come farlo. E allora, per ottemperare a questa mancanza di risposte concrete, si preferisce nascondersi dietro i totem più disparati, dall’Europa, la panacea di tutti i mali (ma non fa così proprio Letta? ndr), agli Stati dell’Occidente libero e democratico nei quali, guarda caso, non governa nemmeno un esecutivo di sinistra. Dov’è, quindi, la sinistra europea, verrebbe da chiedere? Attualmente relegata all’angolo della storia dei nostri giorni. Perché ha preferito erigere un nuovo muro di Berlino, quello tra classe dirigente e la gente, quella vera, due destini che dovrebbero incrociarsi e che, invece, viaggiano su binari diametralmente opposti”.
In realtà, non essendo, non volendo essere e non sapendo nulla della sinistra – non foss’altro perché mai praticata – Boccia ritiene che la sinistra “per risorgere e diventare grande dovrebbe, semplicemente, recuperare la sua missione che non è quella di difendere chi un lavoro ce l’ha”. No, troppo facile, troppo poco di sinistra. La sinistra non dovrebbe difendere i diritti dei lavoratori ma “creare il lavoro per chi non ce l’ha”. Come se una cosa dovesse escludere inevitabilmente l’altra e come se questa opposizione non fosse alla base della visione del lavoro (precario, privo di tutele e caritatevolmente concesso) che hanno, ad esempio, la Santanché e il Briatore, che però del Pd pare che non intendano far parte.
Per Boccia, invece, questa “era la visione del socialismo europeo degli inizi del secolo”. Ma non basta. Boccia non vuole dare una lezione solo agli ex-socialisti del suo partito (il poverino ignora che il suo capocorrente Letta lo ha catapultato invece in un covo di ex-comunisti), ma ne ha anche per gli ex-democristiani (ai quali pur appartiene autorevolmente il suo capocorrente Letta). Quella, infatti, sarebbe stata anche “la visione – più che illuminata – del cattolicesimo democratico divenuto, poi, una burletta grazie agli atteggiamenti stupidi di chi ha tentato di non scontentare la sinistra degli estremi magari vergognandosi anche di dire che, in un Paese come l’Italia, togliere il crocifisso è una solenne bestialità”.
Dove, a parte la mancata indicazione di chi avrebbe messo in burletta la tradizione del cattolicesimo democratico (Letta?) e di chi meriterebbe l’appellativo di stupido – a fronte della serietà e dell’intelligenza, per definizione, dei lettiani – non si capisce nemmeno chi si vergogni a dire che “togliere il crocifisso è una solenne bestialità”, visto che nemmeno gli ex-comunisti, a cominciare da Bersani, si vergognano a dire esattamente il contrario e cioè che il crocifisso va bene in tutti gli uffici pubblici perché in definitiva non sarebbe il simbolo di una religione che “un’antica tradizione come il crocifisso non può essere offensiva per nessuno“.
A proposito poi dell’invito a “riflettere sul perché non abbiamo vinto” – rivolto da Boccia altezzosamente ai piddini non lettiani e, a sua insaputa, a se stesso – c’è da ricordare che il pugliese Boccia fu imposto dal suo capocorrente Letta come candidato Pd alle primarie di centrosinistra per la presidenza della Regione Puglia nel 2005 e fu battuto dall’esterno Vendola. Poi fu “nominato” deputato da Letta alle elezioni del 2008. Due anni dopo fu imposto di nuovo come candidato del Pd alle primarie per le regionali, e fu battuto ancora una volta da Vendola.
Ma il pezzo forte del documento preparato per il congresso del Pd da Boccia – che nel frattempo ha trovato anche moglie nel think tank del capocorrente Letta, la pidiellina Nunzia De Girolamo, diventata casualmente ministra nel governo Letta -resta il severo monito lanciato a dirigenti e militanti del partito (ma anche se stesso, anche se a sua insaputa): ricordare sempre che “non si vive nel blasone dei capicorrente”.