Un ragazzo miracolato (di Arcore) si chiude in convento (con le olgettine?) in attesa di un sogno (italiano) che confermi la sua vocazione (politica). Quando il sesso lo tenta (spesso), va in tilt. Cerca di uccidersi (con la c.d. legge Severino). Lo salvano (i suoi e forse non solo). È un nuovo miracolo (italiano)?
Questa è la trama (aggiornata) del bel film di Manfredi del 1971. C’è trama e chi trema. Almeno a leggere i giornali, saremmo “sospesi nel vuoto”, come ancora oggi si legge nell’editoriale su Il Corriere della Sera. L’ennesimo allarme ad personam: o lo si salva o non ci salviamo.
Tuttavia le farse della “grazia” e dell’agibilità politica (la lingua italiana è un caleidoscopio, assume le forme più svariate, ed ogni forma la matrioska della somma ipocrisia) hanno evidenziato un problema di vitale importanza per tutti noi: il diritto che cela i diritti. Cela nel senso che li nasconde, li ovatta, li cangia a seconda del momento e della persona, li mistifica, li sopprime a piacimento.
Le farse della grazia e della c.d. legge Severino sono già state ben raccontate da Marco Travaglio e vengono romanzate dai giornali: tanti pareri discordanti dei sommi giuristi, tante interpretazioni radicalmente opposte, legislatori che mesi dopo rinnegano la propria scelta invocando l’intervento della Corte Costituzionale. Emblema del nostro diritto e della nostra società, privi di certezza, di credibilità, di serietà, di pragmaticità. Ma soprattutto di onestà. Intellettuale e morale.
Cogliamo dunque l’occasione offerta per affrontarne uno ben maggiore: come possiamo invertire questa deriva abissale? Perché un Paese nel quale il diritto (ius corrisponde al vedico yos e all’avestico yaos significanti “integrità, perfezione mistica”) è tutto tranne che “diritto” è un Paese che calpesta i diritti (anche quelli fondamentali sì), legittimando i più forti contro i più deboli, i furbi contro i retti. Una giungla sociale nella quale tutto è capovolto. Difatti basta osservarsi intorno. I disonesti sono spesso al potere e legiferano nel proprio interesse. Rimuoverli è pressoché impossibile, anche perché vi sono larghe intese. L’onestà è un valore desueto. La giustizia la si mantiene volutamente al collasso per non infastidire troppo il manovratore. Il fisco è armato di una giungla normativa incerta, nelle cui strette maglie rimangono solo i pesciolini.
Quali soluzioni al riguardo? Partiamo dall’esistente. Un compendio normativo ignoto nei numeri (se non alle banche dati giuridiche) ed inestricabile, stratificatosi in oltre un secolo (abbiamo norme tuttora vigenti dell’800), le cui ultime fonti spesso non abrògano quelle antecedenti e non riportano il testo finale della norma(tiva), così da rendere il tutto ancora più oscuro. Abrogazioni tacite dunque incerte, discusse e discutibili.
Norme scritte spesso in modo (anche volutamente) ambiguo, incomprensibile, quand’anche non in un italiano incerto. Uffici legislativi (spesso anche di alto profilo) mortificati ove non ignorati.
Legislatori (quelli eletti dal popolo, ovvero quelli scelti dal premier e al quale le Camere danno però la fiducia) di dubbia preparazione tecnica, di dubbia onestà intellettuale, di dubbia indipendenza (spesso lobbisti occulti), di dubbia moralità. Col risultato che vediamo.
Riforme ad ogni piè spinta, ad ogni refolo prodotto dal battito di ciglia di colui che conta (nel senso del denaro, ovviamente), così da rendere tutto ancora più incerto. In tal senso la riformicchia della giustizia civile ne è un esempio lampante: “Tutto cambia affinché nulla cambi” (ogni 6 mesi una novella, un codicillo ma mai una riforma organica).
Una giurisprudenza ondivaga, creativa, a volte ammiccante (penso alla Corte Costituzionale o al Consiglio di Stato, certo non sempre insensibili al potere), geografica, giurisdizionale (ossia che vede su alcuni temi fronteggiarsi G.O. e G.A.), non di rado di fatto contra legem (ossia con una forza d’urto tale da stravolgere anche la ratio legis, basti pensare all’affidamento condiviso) che rende incerti diritti e doveri, già peraltro malamente definiti.
Autorità di controllo (c.d. Autority, fondamentali in un Paese civile), talmente polticizzate e intrise di interessi da legittimare i forti e il gruppo di massoni che ci governa ab illo tempore.
Se non si scardina tutto ciò (abbiamo ed) avremo la tumulazione dei nostri diritti. E con essi della democrazia.
Ed allora, cara avvocatura (e mi rivolgo al Cnf e all’Oua) iniziamo una battaglia d’avanguardia nell’interesse di tutti i cittadini, chiedendo a gran voce che: a) cambi radicalmente il modo di legiferare e si riveda tutto il compendio normativo (poche leggi e chiare); b) si riformino organicamente giustizia e fisco; c) si riformino le Autority; d) si aggredisca la corruzione e si realizzi la certezza del diritto (e della pena). Solo così il Paese potrà cambiare volto.