La depressione è certamente una delle malattie caratteristiche dell’era contemporanea. Mi riferisco in particolare a quel tipo di depressione nota come disturbo bipolare che “si traduce nello sviluppo di alterazioni dell’equilibrio timico (psicopatologia dell’umore), dei processi ideativi (alterazioni della forma e del contenuto del pensiero), della motricità e dell’iniziativa comportamentale, nonché in manifestazioni neurovegetative (anomalie dei livelli di energia, dell’appetito, della libido, del ritmo sonno-veglia)”.   

Pur non essendo particolarmente versato nelle materie psicologiche, psichiatriche, psicoanalitiche o simili, mi pare di capire che il suo insorgere abbia molto che vedere con una perdita di senso della vita determinata dalla condizione per molti versi triste che siamo chiamati a rivestire nel complesso dell’attuale sistema socioeconomico cui si accompagna il venir meno delle motivazioni tradizionali, quali che esse fossero. Si tratta insomma, in parte, di una malattia psichica sociale. In effetti fra i vari fattori che contribuiscono al suo insorgere (tra cui la componente ereditaria) sono stati identificati “fattori psicosociali, quali abusi durante l’infanzia, lutti e gravi perdite affettive, shock sentimentali e problemi finanziari o lavorativi”. 

In quanto malattia psichica sociale, ma anche a prescindere da questo, la depressione dovrebbe a mio parere ricevere essenzialmente risposte sociali. Legate però, in quanto tali, a processi di trasformazione ancora di là da venire. E ovviamente alla strutturazione di momenti di attenzione sociale. In assenza dei quali come avviene in genere per le malattie e gli handicap di ogni genere, il peso ne ricade prevalentemente sulle famiglie e in genere le persone più vicine.

Si tratta di un fenomeno diffuso, ma di cui non si parla abbastanza. Così come, in quest’Italia delle spending review per tutto eccetto che per F-35, TAV e altre cose che convengono a chi comanda, si parla poco in genere delle situazioni di disagio mentale e fisico che costringono milioni e milioni di cittadini (i diretti interessati e le loro famiglie) a vivere nella sofferenza nell’indifferenza più generale.

Dalla sua parte, il libro scritto da Isabella Borghese, una giovane autrice che farà certamente parlare di sé, ha fra gli altri il merito di sollevare questo problema, trattando della situazione di una ragazza venticinquenne che si confronta con la depressione bipolare del padre. Si tratta quindi di un libro che parte da una situazione vissuta in prima persona e che è stato scritto con l’obiettivo di raggiungere proprio le famiglie che vivono questo disagio. A tale fine l’autrice ha intrapreso un percorso di promozione con le associazioni dell’Unione delle associazioni per la salute mentale (U.Na.Sa.M), mediante incontri e dibattiti.

Ma il libro ha anche altri meriti, fra i quali quello di descrivere, con scrittura lieve ed elegante, il mondo dal punto di vista dei giovani, oggi destinati a un futuro difficile per l’atteggiamento di menefreghismo e irresponsabile assenza delle istituzioni. Il valore della scrittura, e dell’arte in genere, come strumento di autopromozione delle nuove generazioni nella situazione preagonica che vive attualmente il nostro Paese sotto i colpi del governo bipartisan e delle politiche scellerate dell’Unione europee, non va affatto trascurato. Un motivo in più per leggere il libro di Isabella. 

 

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