Da 14 settembre al 6 gennaio a Ferrara sarà possibile vedere i capolavori salvati dalla distruzione delle chiese travolte dal terremoto. Molte delle quali aspettano ancora oggi di tornare a vivere
Sono state salvate dalle macerie provocate dai terremoti che sfregiarono l’Emilia e quest’anno, quindici mesi dopo il sisma del maggio 2012, alcune di loro vedranno la luce. Le protagoniste della mostra “Immagine e persuasione”, che si svolgerà dal 14 settembre al 6 gennaio a palazzo Trotti Costabili di Ferrara, saranno le opere d’arte provenienti dalle chiese terremotate del ferrarese. Otto capolavori realizzati da Ludovico Carracci, Ippolito Scarsella, detto Scarsellino, Carlo Bononi, Francesco Costanzo Catanio e Giovanni Francesco Barbieri, più noto come il Guercino, sopravvissuti alla furia della terra che trema e poi prigionieri di edifici distrutti. Recuperati dalle macerie delle chiese di San Domenico, Santo Spirito, Santa Maria della Pietà dei Teatini, Sacre Stimmate e Santa Chiara, col contributo del Carracci inviato dalla chiesa di Santa Francesca Romana, agibile nonostante il sisma, ed ospitati nelle sale affrescate dal Garofalo dell’edificio del Seminario Arcivescovile come testimonial di una ricostruzione che tarda a iniziare. Anche per le chiese.
La mostra, spiega l’organizzazione, è stata ideata “al fine di rilanciare l’attenzione pubblica e degli ambienti culturali” su un problema che oggi interessa tutta l’area ‘cratere’: la situazione dei luoghi di culto emiliani 15 mesi dopo il terremoto. Perché come racconta don Giovanni Marco Bezzi, economo dell’Arcidiocesi di Ferrara, e come confermano i parroci di un’Emilia che vuole “ricominciare a vivere”, “purtroppo la situazione è sempre la stessa da mesi, ormai. Dopo i lavori effettuati successivamente al terremoto, necessari a mettere in sicurezza gli edifici sacri per la maggior parte danneggiati, siamo ancora in attesa di iniziare la ricostruzione”. La soprintendenza che rallenta i progetti, le risorse che mancano, i costi, alti, degli interventi da effettuare: sono queste le ragioni per cui più che altro, nella bassa le chiese si trovano ancora oggi alloggiate in baracche di legno e strutture prefabbricate. “E purtroppo ci vorranno anni prima che i luoghi di culto più danneggiati possano riaprire”.
Il bilancio post sisma, del resto, è pesante: secondo i dati dei Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna sono 532 le chiese e i campanili che il terremoto ha danneggiato, “la quasi totalità”, come sottolinea una nota della Regione. E in un anno di progressi se ne sono fatti pochi. “Più o meno, nel ferrarese, saranno 4, forse 5 le chiese che siamo riusciti a riaprire – spiega don Bezzi – su 170 edifici sacri in provincia, 76 hanno subito ingenti danni a causa dei fenomeni sismici e per il momento, nonostante le numerose promesse, dalla Regione abbiamo ricevuto circa 150.000 euro, ben poca cosa rispetto a ciò di cui c’è bisogno per ricostruire. A settembre dovrebbe sbloccarsi qualcosa, ma è ovvio che in queste condizioni chi quest’anno è riuscito a riaprire la chiesa l’ha fatto con le risorse a disposizione delle singole parrocchie. E ovviamente parliamo di danni lievi, perché per molti interventi i costi solo elevati”.
La chiesa di San Michele del Gesù di Ferrara, per esempio, festeggerà la riapertura il giorno del patrono, il 29 settembre, esclusivamente perché il parroco, don Armando Blanzieri, è riuscito a raccogliere i 40.000 euro necessari a rendere agibili la navata e il presbiterio grazie ai fondi raccolti dai residenti con la pastorale. A Finale Emilia, la chiesa del Seminario è stata restituita ai fedeli grazie alle donazioni, 210.000 euro, che hanno consentito di riparare i danni provocati dal terremoto. “Ma sono casi isolati”, spiegano le diocesi. Molto più spesso, come raccontano da San Possidonio, “le parrocchie non hanno i mezzi per ricostruire, né i soldi, e la curia non può certo pagare tutto. Basti pensare che solo mettere in sicurezza la nostra chiesa, per puntellare i muri e rientrare in canonica ci hanno presentato un conto di 477.000 euro”.
Una situazione che le provincie terremotate, Ferrara, Reggio Emilia, Mantova, Bologna e Modena, hanno in comune, e per la quale, almeno nel ‘breve termine’, non ci sono soluzioni. Anche perché sia la curia estense, sia quella modenese, terra di alcune delle chiese simbolo dell’Emilia post sisma, come il duomo di Carpi, il duomo di Finale Emilia, la chiesa di Medolla, quella di Camposanto, la chiesa di San Giuseppe a San Felice sul Panaro, nel 2012 hanno chiuso i bilanci in rosso.
“Immagine e persuasione”, che inaugurerà il 14 settembre, sarà quindi sì, un’occasione “per far conoscere al grande pubblico le opere e i protagonisti di una delle stagioni meno note della storia dell’arte estense, quella seicentesca”, ma soprattutto, sarà un’eco del “grido di dolore” lanciato dalla chiesa emiliano romagnola: “lo Stato ci aiuti a ricostruire”.