La pulizia effettuata nel Monte dei Paschi di Siena è stata notevole e coraggiosa. Come mai allora il risanamento è ancora in forse? Il sistema di potere ruotava (e ruota tuttora) intorno all’intreccio malsano tra banca, fondazione e politica. Un dossier ripercorre la crisi della banca più antica del mondo.
di Marco Onado (Fonte: lavoce.info)
La nuova gestione del Monte dei Paschi di Siena è impegnata nel difficile compito di rimettere in piedi la banca, che solo negli ultimi due anni e mezzo ha registrato perdite per oltre 8 miliardi. La crisi di Mps viene da lontano e riflette una crescita tanto intensa quanto squilibrata, che sotto certi punti di vista può essere considerata esemplare delle distorsioni di processi di privatizzazione non sorretti da una governance adeguata e dunque nel nostro caso, degli intrecci perversi tra fondazioni, banche e politica, assieme alla “senesità” che è stata da sempre l’ingrediente fondamentale della gestione della “banca più antica del mondo”.
Dopo la legge Amato-Ciampi, Mps ha voluto trasformarsi in una grande banca nazionale, entrare nei salotti buoni della finanza italiana e del capitalismo di relazioni, mantenere alti livelli di redditività e garantire un flusso continuo di cedole alla Fondazione divenuta azionista di maggioranza assoluta che, attraverso le sue erogazioni, avrebbe dovuto beneficiare il territorio e soprattutto rinsaldare il sistema di potere che ruotava (e ruota tuttora) intorno all’intreccio banca-fondazione-politica. Troppi obiettivi, tutti sulle spalle del profitto della banca.
Vale dunque la pena di ripercorrere la storia del Monte dei Paschi attraverso i suoi bilanci e capire perchè il modello senese di governance ha fallito, se sia ancora possibile il risanamento del Mps (con il sostegno dei Monti-Bond) e cosa può o deve fare una fondazione che ha il patrimonio investito in una banca con scarse prospettive di reddito.