Luca, 26 anni, ha lasciato lo studio per cui lavorava a Firenze ed è partito. “Il Brasile è in forte crescita, pieno di potenzialità, ricco di materie prime e con tanta manodopera. A cui, però, manca il know-how”. Ma chi è preparato ha possibilità di successo
Contrordine: a dire addio all’Italia non è soltanto chi non trova lavoro, l’ha perso o guadagna poco. Scappa da casa anche chi un posto ce l’ha, prende uno stipendio buono ma non vuole passare le sue ore a fare sempre le stesse cose. Annoiandosi e sognando a occhi aperti la carriera. Luca Sartori, 26 anni, se n’è andato fino in Brasile, a San Paolo, per fare l’architetto senza aspettare di avere i capelli bianchi.
È settembre 2012. Gli otto mesi precedenti li vive a Firenze, seduto dietro una scrivania nello studio di uno dei maggiori network italiani di architetti. Mille euro al mese, dopo i primi mesi gratis. I soldi però non contano quando si vuole fare quello per cui si è studiato. Per davvero. “Mi sentivo un numero, usavo Autocad (software per il disegno architettonico, ndr) tutto il giorno per fare le solite cose, non avevo più stimoli”. Luca non ha perso un minuto. “Mi sono buttato nell’oceano”, racconta lui, “anche se non sapevo nuotare”. Il suo mantra? “Le occasioni te le devi creare, nessuno te le regala”. Quindi invia il curriculum allo Ied (Istituto europeo di design) per un master in Industrial design a San Paolo.
“Il Brasile è un in forte crescita, pieno di potenzialità, ricco di materie prime, con tanta manodopera a cui, però, manca il know-how”. Chi sa qualcosa, qui, ha possibilità di successo. Luca supera la selezione, fa le valigie e lo studio per cui lavorava, che non voleva perderlo, decide di affidargli i progetti che ha oltreoceano. In pratica, gli permette di fare l’architetto a tutti gli effetti. Tutto da solo. Prende in mano i clienti, ne trova di nuovi, si occupa di contabilità e amministrazione. “Prima di partire non ne capivo nulla di queste cose”, ammette. “Ma se sai che tutto dipende da te, ti svegli alla svelta e impari al volo”. Non ha un ufficio. “Lo sto costruendo io”, dice. Per adesso lavora in una stanza in affitto con vista sulla skyline. Dopo due mesi parla il portoghese e si dà un’agenda da rispettare: “Il martedì vado in prefettura, il venerdì lo dedico al cantiere dell’ufficio”. Il resto lo passa a disegnare piantine e seguire gli altri cantieri. Due sere alla settimana (più qualche workshop nel weekend) è impegnato al corso. “Sono l’unico italiano e in città ho solo amici brasiliani”, dice. Anche se a San Paolo la comunità italiana è la seconda più grande nel mondo. “Sopravvive di stereotipi e folklore”, precisa. Poco attraente, dunque.
Non come il “made in Italy” che, invece, è irresistibile. “Invidiano il nostro stile e il gusto”, e lui è lì per trasmetterlo. “La manodopera non è qualificata, devi insegnare tutto e non mollarla un secondo”, spiega. E aggiunge: “Non esistono gli artigiani come li intendiamo noi. Si improvvisano esperti in qualcosa ma di solito ci mettono poca passione”. A nove mila chilometri da casa, col suo bagaglio di conoscenze, Luca ha la possibilità di sentirsi utile. “Sono giovane – continua – eppure mi prendono sul serio. Anzi, mi ricevono con piacere”. Così dovrebbe funzionare ovunque. In Italia, invece, anche chi si presenta con un biglietto da visita che include master e dottorato dopo la laurea, spesso sul mercato del lavoro rimane al punto di partenza: lavoretti a ore, responsabilità ridotte all’osso e salari da fame. E la gavetta può durare una vita intera. Emigrare allora è una salvezza, anche per chi, come Luca, viene da una famiglia benestante.
Emigrare è una salvezza, anche per chi, come Luca, viene da una famiglia benestante. Il suo viaggio fuori dai confini italiani inizia quando di anni ne ha appena 18. Dopo la maturità all’Istituto artistico di Parma, si sposta in Svizzera, a Mendrisio, dove frequenta l’Accademia di architettura. Poi fa uno stage di un anno a Londra. Rientra in Svizzera per laurearsi nel 2011. Quello che succede dopo è scritto sopra. “In fin dei conti non ho mai vissuto sulla mia pelle la crisi”, puntualizza. Ma se “in Italia ti devi accontentare, qui, al contrario, ti devi dare da fare”, ammette con soddisfazione. La stessa che gli fa dimenticare le difficoltà dell’inizio: lo sconforto (“Chi me l’ha fatto fare?”, si ripeteva i primi tempi) e la solitudine. E quelle che rimangono tuttora: “San Paolo è una città cara, più di Milano, e c’è parecchia criminalità”. Di ritornare in Italia, però, se ne parlerà fra molto tempo. “Assorbo tutto quello che posso. È un’opportunità di crescita unica, nel mio Paese me la scorderei, non posso sprecarla”. Da grande, Luca, vuole aprire uno studio tutto suo in Trentino, “dove c’è voglia di sperimentare, almeno in architettura”.