Nel frattempo i suoi, con forte sprezzo del Paese, si fanno trovare decisi anche alle manifestazioni più umilianti di sudditanza, a ogni appuntamento. Ci sono i molto vicini, come Angelino Alfano, che esibisce senza imbarazzo il sole che lo ha letteralmente bruciato mentre governava, e il giuramento che senza Berlusconi non si governa.
Ci sono i finti lontani (passati addirittura a un altro partito) come Mario Mauro, che indicano l’unica strada per uscire da questo intrico. E non è la consegna del condannato all’autorità penitenziaria. È “la pacificazione” che “ingiustamente e dannosamente ha contrapposto per vent’anni i berlusconiani e gli anti-berlusconiani”. Mario Mauro la vede così: lasciate perdere se Berlusconi è stato condannato o no, perché questo avviene dentro un altro potere che non è la politica. In politica ha dieci milioni di voti, e appoggia il governo. La tesi di Mauro (che è anche ministro della Difesa) è: non ci hanno mandato qui per questo? Nessuno ci ha mentito, sostiene. Sapevamo benissimo che sarebbero piovute sentenze non sempre elogiative per il nostro grande alleato. Ma la regola unica e assoluta è governare insieme.
E allora non capisce perché e di che cosa la Commissione per le prerogative e le immunità parlamentari dovrebbe discutere. Si levano manifesti altisonanti come squilli di tromba sulla riforma della Giustizia, da fare qui, adesso, con il condannato.
Resta da capire, per chi scrive e segue con attenzione le iniziative dei Radicali (che condivide in tutto l’universo dei diritti umani) perché convenga legare a Berlusconi e alla sua pena (che certo non lo porterà nelle carceri sovraffollate, ma dovrebbe accompagnarlo fuori dal lungo dominio sulla politica) i dodici referendum radicali che erano nati liberi, legati solo alla storia di un partito che ha dato qualcosa al Paese (divorzio, aborto, lotte infinite per i diritti umani e civili) ma non ha mai ricevuto nulla da altri partiti, specialmente se padronali. Perché lasciarsi sedurre e abbandonare da un leader morente che, sulle sue vere intenzioni, ha sempre mentito? Perché mettersi nelle mani di un pregiudicato ad altissimo reddito, di quelli che di solito, nel finale classico di un thriller, uccidono il partner per non dividere il bottino?
Per fortuna c’è Francesco, un uomo sano e normale che di mestiere fa il Papa, vede la realtà, parla alla gente, ci mette un tono di affetto e di comprensione che tanti cercano invano nella politica, non sbanda nel vuoto, non inventa i fatti, né buoni né cattivi, e sembra sempre che gli interessi la persona che ha davanti più di tutti i riti della sua posizione. Strano riformatore, Francesco, che non passa il tempo a dire che ci vogliono riforme. Le fa subito, con te, davanti a te, mentre ti parla. Perché in quel modo di vederti e di parlarti cambia tutto, lì, sul momento, insieme.
Ma il suo merito più grande è verso noi italiani. Vi siete accorti che ha indotto, fin dal primo giorno, la curia vaticana – da monsignor Fisichella a S. E. Bagnasco – a smettere di dettar legge in Italia, e ha indotto Comunione e Liberazione a funzionare più o meno come lo Studio Ambrosetti di Cernobbio, ma a un livello più divulgativo e popolare? La presenza di Francesco ha spostato con forza la scena per tutti gli aspetti della vita pubblica e politica. Francesco ha deciso di valere quanto il suo interlocutore, folla o individuo. Vuol dire che lui non è in un luogo, alto e separato, di solitudine imperiale. E gli altri non sono nel fondo di una valle nella quale si dice o si pensa “io non sono nessuno”.
Nessuno è nessuno, sembra pensare e credere questo Papa. E Dio, secondo lui, è il primo a saperlo. Un Dio arguto che, come in certi racconti yiddish, partecipa volentieri alla conversazione . Nel mondo, Francesco è accolto come in grandi feste di amici, e lo si è visto in Brasile. In Italia, anche (e forse soprattutto) dai non credenti, con molta riconoscenza.
Il Fatto Quotidiano, 25 Agosto 2013