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L’economista Fitoussi: “Ripresa economica? Non prima della fine del 2014”

Più pessimista Moody's che per l'Eurozona non si aspetta un ritorno a una crescita sui livelli pre-crisi prima del 2016-2017 e, nel suo ultimo report, avverte che ciò avverrà “solo in alcuni casi”
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“La ripresa nell’area dell’euro e in Italia arriverà non prima della fine del 2014”. E’ quanto sostiene Jean-Paul Fitoussi, professore emerito all’Institut des Etudes politiques de Paris (Iep) e all’Università Luiss di Roma. La ripresa nell’area dell’euro “alla fine arriverà nonostante le politiche di austerity e non grazie alle politiche decise a livello europeo che l’hanno solo ritardata”, ha detto all’Adnkronos.

“Non è il momento di aumentare le tasse. I redditi, al netto delle imposte sono scesi un pò ovunque in Europa, e questo ha contribuito a far proseguire la crisi – ha aggiunto – Quella di aumentare le imposte o di ridurre gli investimenti pubblici non è una buona politica. Oltre che procedere ad una spending review, che richiede tempo, bisogna fare tutto il possibile per rilanciare gli investimenti”.

Il vero problema, ha spiegato l’economista francese, “lo sappiamo bene, è un problema di governance europea. Contro ogni logica abbiamo attuato per far fronte alla crisi la ricetta sbagliata costringendo i Paesi ad adottare misure di austerity che non hanno fatto altro che ritardare la ripresa”. Attualmente, ha rilevato poi Fitoussi, i Paesi europei, nel loro insieme, sono di fronte a problemi comuni: “non vediamo quale possa essere il motore per favorire la ripresa in Europa visto che la disoccupazione continua a crescere; che i redditi, al netto delle imposte, continuano a calare a causa dell’aumento delle tasse; che le pensioni si riducono; che la maggior parte dei Paesi europei continuano a seguire politiche restrittive. L’insieme dei fattori che potrebbero contribuire ad aumentare i consumi, quindi, sono negativi. In queste circostanze non vediamo quale potrebbe essere il motore per favorire gli investimenti”.

Le aziende private, poi, rileva l’economista, “continuano ad ottenere prestiti a tassi elevati a causa dei problemi legati ai debiti sovrani”. A subire “in pieno” gli effetti della crisi, osserva Fitoussi, “sono soprattutto le aziende europee, quelle italiane, quelle francesi, che sono posizionate sui mercati interni”. Per l’economista, quindi, non si può fare guardando ai dati del secondo trimestre 2013, diffusi il 14 agosto scorso dall’Eurostat (il pil nell’Eurozona ha registrato una crescita dello 0,3% dopo -0,3% nel primo e in Italia -0,2% dopo -0,6% nel primo), “una regola generale”: il secondo trimestre dell’anno per l’area dell’euro, infatti, è stato “un buon trimestre tra virgolette, ma di certo non si può dire che sia sinonimo di ripresa”.

Ancor più pessimista l’agenzia Moody’s, che per l’Eurozona non si aspetta un ritorno a una crescita sui livelli pre-crisi prima del 2016-2017 e, nel suo ultimo report, avverte che ciò avverrà “solo in alcuni casi”. In particolare Moody’s punta il dito sui Paesi della sponda Sud dell’euro che, così come l’Irlanda, soffrono di un insieme di squilibri fiscali da risanare a costo della crescita e di una cronica mancanza di competitività. Mancando la leva della svalutazione (visto che l’euro è in comune con la Germania), la ripresa richiederà molto di più rispetto a economie come quella statunitense o inglese.

Sullo sfondo la prospettiva di ulteriori tagli del rating dei cosiddetti Piigs, che rischia di far saltare i conti già precari sui quali si basano le proiezioni di bilancio. Un problema in particolare per la Grecia, su cui infuria un dibattito pre-elettorale in Germania: il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble ha riconosciuto che ad Atene servirà un nuovo salvataggio, quantificato in circa 11 miliardi e da stabilire nel 2014. Anche se la cancelliera Angela Merkel è costretta a escludere ogni ipotesi di un nuovo sconto sul debito greco. Mentre Atene, attraverso il ministro delle Finanze Yannis Stournaras, piuttosto che un terzo prestito ipotizza una rinegoziazione dei meccanismi di salvataggio già concessi, abbassando gli interessi da pagare e allungando le scadenze per dare più ossigeno all’economia.

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