Da settimane ormai non ricevevano né cibo, né acqua, che erano costretti ad andare a prendere con dei secchi in una chiesa lì vicino. Fino a mercoledì 28 agosto, quando sono stati obbligati a uscire e a sgomberare l’edificio da carabinieri e polizia. Ventiquattro persone, tutti profughi arrivati a Bologna due anni fa nel pieno di quella che fu definita “emergenza Africa”, insieme ad altre centinaia di migranti in fuga dalla guerra in Libia. Somali, eritrei, nigeriani, ghanesi, richiedenti asilo, o già con lo status di rifugiato, che dopo la fine del programma di accoglienza si erano sistemati abusivamente dentro le stanze di Villa Aldini, struttura immersa nella zona collinare di Bologna.
Il loro arrivo in Italia risale al 2011. All’epoca, a ciascuno di loro fu concesso il permesso per motivi umanitari e l’inserimento in un programma di accoglienza. Un percorso durato due anni e terminato a febbraio 2013, con la fine dell’emergenza. A quel punto molti di loro si erano ritrovati senza un lavoro e senza prospettive certe. A chi aveva trovato posto a Villa Aldini erano stati consegnati 500 euro e l’invito ad andarsene. Per questo, a marzo avevano rivolto un appello al sindaco, Virginio Merola, chiedendo di attivare dei reali percorsi di “lavoro e integrazione”. Va considerato che, secondo le leggi europee, molti di loro non possono spostarsi in altri paesi dell’Unione, ma sono obbligati a rimanere nello stato dove hanno presentato la richiesta di asilo.
A difesa degli stranieri si sono schierate diverse realtà, tra cui Asia, e le associazioni Primavera urbana e 3 febbraio. Nei giorni scorsi infatti avevano organizzato un presidio di protesta nel centro storico della città, proprio per contestare l’ordinanza di sgombero firmata da Palazzo d’Accursio. “Bisogna uscire dall’emergenza e approntare politiche di accoglienza giuste e dignitose” si legge in una nota diffusa dall’associazione 3 febbraio. “Il Comune di Bologna si deve adoperare per trovare una soluzione. Non è giusto che per colpa di norme escludenti o di inerzie burocratiche a farne le spese siano gli immigrati. Chiediamo all’amministrazione comunale che non lasci in strada nemmeno queste persone”.
Ora, dopo lo sgombero di Villa Aldini, sono in corso trattative con i servizi sociali per individuare soluzioni abitative alternative, che possano garantire un tetto ai migranti. Il tutto senza che la loro situazione venga derubricata a quella dei senza dimora.