Maurizio Lupi riesce a far approvare il "suo" piano casa da 4,4 miliardi che assomiglia molto da vicino a un aiuto di Stato alle banche che verranno finanziate, ma anche sgravate dei vecchi prestiti. Meno di un ventesimo delle risorse sarà destinato a rendere più sostenibili gli oneri del mutuo e dell’affitto
“La Cassa Depositi e Prestiti metterà a disposizione 2 miliardi di euro alle banche che dovranno destinarli alle famiglie per mutui agevolati per l’acquisto o la ristrutturazione della casa. In più il Fondo di solidarietà permetterà alle famiglie in difficoltà di sospendere le rate del mutuo”. Il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha così svelato in sintesi la versione definitiva del “suo” piano casa, che assomiglia piuttosto a un aiuto di Stato alle banche.
Complessivamente l’intervento studiato dal ministro considerato l’esponente politico più vicino a Comunione e Liberazione e, quindi, alla Compagnia delle Opere dopo la caduta di Roberto Formigoni, prevede azioni per 4,4 miliardi di euro, dei quali 4 miliardi a carico della Cassa Depositi e Prestiti, cioè la società pubblica che gestisce i risparmi postali degli italiani e 400 milioni di “interventi sociali”, con, tra le altre misure, un fondo specifico a favore dell’acquisto della prima casa per giovani coppie e lavoratori atipici sotto i 35 anni.
Il provvedimento d’urgenza, presentato su proposta di Lupi che ci lavorava da mesi e approvato dal Consiglio dei ministri che ha varato la metamorfosi dell’Imu che diventerà service tax, dovrebbe servire a dare risposta alla necessità di alloggi in affitto a canone moderato a favore delle categorie sociali tradizionalmente svantaggiate (disoccupati, pensionati, immigrati), alla necessità di nuovi fabbisogni abitativi soprattutto da parte di lavoratori atipici, anziani, studenti, giovani coppie, famiglie monoreddito, genitori separati.
Tra il 2006 e il 2011 il volume dei mutui ipotecari era di 55 miliardi di euro annui, nel 2012 è sceso a 26 miliardi, a causa della stretta creditizia da parte delle banche italiane che, in evidente e profonda difficoltà dopo gli azzardi commessi nel passato recente e remoto – come testimoniano gli attualissimi casi Ligresti (Unicredit e Mediobanca), Zunino (Banco Popolare) e Zaleski (Intesa Sanpaolo) – hanno progressivamente chiuso i rubinetti nonostante gli aiuti ricevuti dalla Banca Centrale europea e, più recentemente, della debolezza delle prospettive occupazionali e di reddito dei possibili mutuatari.
Obiettivo del governo, si legge in una nota, “è favorire, attraverso la garanzia data alla banche da Cdp, la ripresa del credito per l’acquisto della prima casa”. In secondo luogo, la Cassa di Franco Bassanini “può acquistare obbligazioni bancarie nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione di crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali (che oggi hanno un valore di mercato in caduta libera, ndr), liberando l’attivo delle banche che possono così erogare nuovi mutui alle famiglie per l’acquisto di abitazioni principali”.
In pratica, quindi, per le banche italiane a secco, ma alle prese con la scadenza della restituzione dei prestiti agevolati ricevuti dalla Bce e l’arrivo dei nuovi e stringenti criteri comunitari di patrimonializione di Basilea III, si fa concreta la possibilità di liberarsi dei vecchi prestiti trasformati in prodotti finanziari vendendoli allo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Di fatto un secondo aiuto di Stato alle banche che, per di più, ha il suono sinistro del caso americano di Fannie Mae e Freddie Mac, le due società create negli Usa alle fine degli anni Trenta per garantire i fondi per il mercato immobiliare americano fallite e salvate dallo Stato con costi pubblici per circa 190 di miliardi di dollari an partire dal 2008, anno dell’esplosione della crisi dei mutui subprime, cioè ad alto rischio di insolvenza da parte del titolare del prestito, che il mondo sta pagando ancora oggi.
Specializzate non nell’erogazione diretta, bensì nell’acquisto, l’assicurazione e pure nella traformazione dei mutui in strumenti finanziari da rivendere agli investitori sotto forma di titoli di debito, Fannie e Freddie erano finite al centro del meccanismo di credit crunch che a partire dall’estate del 2007 ha messo in ginocchio i mercati finanziari, da Wall Street alla Banca Centrale cinese passando per Mosca e, soprattutto, l’Europa, pieni zeppi di derivati che avevano come sottostante dei mutui concessi a persone che non sarebbero state in grado di pagare come era chiaro fin dal principio.
Il castello era stato in piedi fino a quando le crescenti difficoltà dei creditori nel rispettare i pagamenti hanno tolto il supporto ai bond correlati ai prestiti. Generando perdite miliardarie per Fannie e Freddie che poi sono state di fatto nazionalizzate dall’amministrazione Bush. Che ha poi dovuto fare i conti sia con le pressioni dei Paesi stranieri che hanno venduto a piene mani le obbligazioni dei due istituti, sia con i fallimenti a catena delle banche esposte sui titoli a rischio. Proprio in queste settimane l’amministrazione Obama ha varato una riforma del settore immobiliare che, tra le altre cose, prevede il progressivo addio a Fannie e Freddie da sostituire con una società di riassicurazione governativa che sosterrà perdite solo in circostanze catastrofiche e un numero maggiore di società private, per evitare che il governo debba farsi nuovamente carico di salvataggi.
Tornando da questa parte dell’Oceano, una minima parte dello stanziamento “casa” prevede che attraverso il rifinanziamento di fondi già esistenti e la creazione di un nuovo fondo presso il ministero delle Infrastrutture, vengono destinati 200 milioni per rendere più sostenibili gli oneri del mutuo e dell’affitto. In dettaglio, 40 milioni vanno al Fondo per la sospensione per 18 mesi delle rate di mutuo; 60 milioni al Fondo di garanzia per i mutui a favore dei giovani (coppie, monogenitori, lavoratori atipici); 60 milioni al Fondo che eroga contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione e 40 milioni al Fondo di copertura della morosità incolpevole a favore cioè delle famiglie che non pagano l’affitto a causa di perdita del lavoro, messa in mobilità o in cig, chiusura dell’attività, malattia.
Infine il piano Lupi prevede la proroga di 3 anni per l’attuazione dei programmi di edilizia residenziale mantenendo l’imposta di registro ridotta all’1% al posto della misura ordinaria dell’8 per cento. C’è poi l’esclusione dall’obbligo di pagamento Imu dei fabbricati invenduti che vengono assimilati al trattamento Imu prima casa le case popolari e delle cooperative edilizie a proprietà indivisa.