Realismo, responsabilità, senso delle istituzioni. La realpolitik ha molti nomi nel Palazzo e anche qualche storico pregio, eppure come tutte le sostanze dell’anima, superata una certa quota, diventa veleno. Oggi, in nome suo – e dei mercati e dello spread – non si può far cadere il governo e, visto che Silvio Berlusconi minaccia di buttarlo giù se a norma di legge lo si caccia dal Senato, bisogna aggirare la legge in nome della ragion di Stato, Quirinale benedicente. Realismo, tutto qui. E interpreti all’altezza, per così dire, di ergersi con mente sgombra a difesa di ciò che conviene davanti a ciò che è giusto. Li abbiamo chiamati “scudi umani”: il loro numero si va facendo legione, pragmatismo e ragionevolezza gli fanno da mantello, il Colle più alto da corona. Come in ogni antico rito che si rispetti, infine, non può mancare l’agnello sacrificale: è il giudice Esposito, offerto al dio della giustizia in cambio del condannato.
Quelli del nuovo lodo
È la via non cruenta alla salvezza del già Cavaliere e consiste nello spostare la decisione un po’ più in là per mantenere Enrico Letta a Palazzo Chigi ancora qualche mese. Dopo? Si vedrà, mai mettere limiti alla Provvidenza. La via è quella di affidarsi alla proverbiale riflessività della Corte costituzionale, già indicata come via d’uscita da due insigni professionisti dell’assennatezza come Piero Capotosti e Valerio Onida, entrambi ex presidenti della Corte assai ascoltati da Giorgio Napolitano. I suoi sponsor politici sono i piddini “più ragionevoli”, coadiuvati dalle cosiddette “colombe” del Pdl. Umberto Ranieri, ex parlamentare democratico e pupillo del capo dello Stato, l’ha spiegato a Il Mattino: “La Giunta potrebbe sollevare questione di costituzionalità sulla legge Severino sospendendo nel frattempo il giudizio”.
Pure Luciano Violante s’è convertito allo religione dello scorrere del tempo su Il Corriere della Sera: “Non sarebbe dilazione, ma applicazione della Costituzione”. Essendo però uomo dal respiro continentale, l’ex giudice non disdegna nemmeno un ricorso alla Corte europea: “Potrebbe essere interpellata perché dica se in base alla normativa europea la legge Severino dà luogo a pena, non retroattiva, o a un semplice effetto sulla condanna”. Anche il politologo Carlo Galli, oggi deputato Pd, ha voluto portare la sua variante al nuovo lodo: “Una evoluzione possibile è che la Giunta non tanto si rivolga alla Consulta, ma che valuti con ponderatezza la questione”, ha spiegato a Italia Oggi. La sua posizione, va detto, ha almeno il pregio di rivendicare al Parlamento l’onere della perdita di tempo invece di delocalizzarla alla Consulta.
Quelli della moglie di Cesare
Sono gli estremisti della moderazione, quelli che vogliono sempre rifletterci ancora un po’. Gli editoriali dei grandi giornali del Nord sono la loro casa, politicamente vivacchiano in soggetti di risulta. Dopo le acrobazie verbali dei senatori del Psi, Enrico Buemi e Riccardo Nencini, non si sono fatti attendere gli amici dell’Udc. “Non è il momento degli aut aut, ma degli et et”, ha spiegato a La Stampa, pervaso di democristianità, Michele Vietti, vice di Napolitano al Consiglio superiore della magistratura: bisogna cercare “il giusto equilibrio tra l’imperativo della giustizia e le esigenze del Paese”, “affrontare il tema della incandidabilità in modo ‘spassionato’, senza criminalizzare chi solleva dubbi giuridici sulla retroattività o la costituzionalità della legge Severino”. Pure Pier Ferdinando Casini è della partita: d’altronde, ha spiegato al Nuovo Quotidiano di Lecce, il saggio Francesco D’Onofrio – con cui fondò a suo tempo il Ccd – gli ha detto che va bene così. Tanto più che, pare, “il Senato deve essere come la moglie di Cesare: non solo essere imparziale, ma anche sembrarlo”.
Quelli che lo dice Platone
Si tratta di quanti, studiosi o parlamentari Pdl, hanno scoperto che la legge Severino è incostituzionale solo dopo che è stata applicata una quarantina di volte. Ci sono i giuristi in quota Pdl – anche se non fa fine ricordarlo quando li si intervista – tipo Giovanni Guzzetta, Nicolò Zanon, Paolo Armaroli, i parlamentari berlusconiani d’ogni ordine e grado e, da domenica scorsa, 25 agosto, anche colui che riporta al volgo “l’opinione di quella Magistratura silenziosa, impegnata in modo esclusivo ed assorbente nel lavoro della jurisdictio”. Così parlò il consigliere di Cassazione Enzo Jannelli in una lettera a Il Corriere della Sera dell’8 agosto, in cui spiegava in quattromila agili battute che è meglio aspettare le motivazioni delle sentenze prima di discuterle. Domenica, si diceva, ha prestato la sua penna e tutto quel che rappresenta a Il Giornale. Pezzo memorabile, che parte da una citazione del Fedone di Platone: “Liberàti dalla follia del corpo, conosceremo (…) tutto ciò che è puro”. Segue una paginata altissima piena di Leviatani, Principi, Parlamenti, Autorità e, come si vede, maiuscole. Perché? Per dire che la retroattività della Severino “costituirebbe una deviazione talmente macroscopica dei principi – concluderebbe Platone – da cagionare una ferita mortale all’anima che è la verità, compiacendo solo il corpo che è follia”. E fu così che l’allievo di Aristotele, a sua volta involontario maestro di Jannelli, divenne scudo umano.
Quelli che parlano d’altro
Di questa categoria non fa parte il ministro della Difesa Mario Mauro, che ha proposto l’amnistia proprio per salvare Berlusconi, ma quelli che sembrano non sapere che di un provvedimento generale di clemenza si parla solo per un motivo. È il caso del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri o del deputato Pd Sandro Gozi, fan dell’amnistia da tempi non sospetti e che ora vengono rispolverati alla bisogna con apposite interviste: curioso però che mentre si ragiona sulla clemenza col Pdl, non una parola venga spesa sulla riforma o l’abolizione delle leggi Fini-Giovanardi e Bossi-Fini, entrambe di questo centrodestra, che hanno riempito quelle carceri che ora si vogliono svuotare.
Da Il Fatto Quotidiano del 27 agosto 2013