Film collettivo per una riflessione sul futuro del cinema compiuta da 70 registi di tutto il mondo che hanno avuto a che fare con Leoni D’oro, Oselle, premi assortiti o solo proiezioni prestigiose tra Casinò e Palazzo del Cinema. Finita la mostra, dal 9 settembre i corti saranno visibili in streaming sul sito ufficiale
Datemi un minuto, un minuto e mezzo di cinema e vi mostrerò il futuro del mondo. Il festival di Venezia celebra i suoi 70 anni con il film collettivo Venezia 70 – Future Reloaded: riflessione sul futuro del cinema compiuta da 70 registi di tutto il mondo che hanno avuto a che fare con Leoni D’oro, Oselle, premi assortiti o solo proiezioni prestigiose tra Casinò e Palazzo del Cinema.
Tra loro i veneziani ad honorem come il coreano Kim Ki-Duk (Leone d’oro proprio un anno fa) e il filippino Brillante Mendoza, una ridda di italiani come Michele Placido, Ermanno Olmi, Franco Piavoli, Pietro Marcello e Salvatore Mereu, l’enfant prodige cattivo di Spider Man James Franco. Anche se chi ha spedito il mini contributo, la forbice della durata era tra i 60 e i 90 secondi, ha dovuto prima di tutto badare alle spese, visto che l’invito del direttore Alberto Barbera, su un’idea suggerita dal collaboratore Paolo Bertolin e con la realizzazione d’insieme del collega Stefano Di Francia Celle, non prevedeva budget veneziani se non l’ospitalità durante la Mostra 2013 e la walk of fame del Lido.
Così tra colorati smartphone e iPad, una sottilissima macchinetta digitale, e anche un vecchio e classico treppiedi con pellicola per riprendere le immagini, ecco carrellare firme storiche del festival come l’iraniano Abbas Kiarostami, che dà la sua interpretazione di futuro cinematografico rievocando i Lumiere de L’arroseur arrosé con un paio di monelli a prendere il controllo davanti e dietro la macchina da presa; o il canadese Atom Egoyan che si pone l’interrogativo di cosa “lasciare in memoria” tra le immagini registrate su un telefonino pena la perdita della sua traccia di fronte agli oggetti d’arte ripresi.
Cose da nulla per i profani, ma interrogativo cruciale per i sacri depositari del tempio cinema novecentesco nel momento in cui la funzione della sala cinematografica e il prodotto filmico si stanno dirottando sempre più nel mare magnum via web. Ragiona sul passaggio cruciale in modo romantico il Leone d’oro 2006 Jia Zhang-Ke, che mescola la storia del lacrimoso cinema cinese in bianco e nero e un levigatissimo dolce presente fatto di visioni iperluminose e ipetecnologiche; oppure in maniera dissacrante l’americano Todd Solondz (amatissimo a Venezia) che declama un corso di cinema datato 3013 tutto su uno schermo computerizzato con caratteri cinesi e la scelta di memorizzare Rocky e Tutti insieme appassionatamente. Anche se è l’isrealiano Samuel Maoz (Leone d’oro 2009 con Lebanon) a divertire più di tutti mostrando una sala operatoria con un vecchietto/il “cinema” che non vuole morire in digitale e a cui vengono asportati chilometri di pellicola ma che alla fine è soltanto una delle tante opere d’arte moderne di un museo del futuro.
Il cuore del pubblico, infine, lo conquista un grande vecchio della settima arte: Bernardo Bertolucci. Costretto sulla sedia a rotelle da alcuni anni e con una videocamerina agilissima a pochi centimetri da terra, l’autore di Novecento mostra il suo impossibile girovagare sullo sconnesso porfido romano. Red Shoes è il titolo di questo piccolo capolavoro in cui il grande maestro non vuole di certo abdicare a chissà quale nuova generazione di cineasti.
70 – Future Reloaded è un’operazione fortemente voluta dalla Biennale per emulare il progetto Chacun son cinema di Cannes, con alti e bassi livellati dalla proiezione in ordine alfabetico e qualche autore deliberatamente fuori tema (l’austriaco Ulrich Seidl, per esempio, che ha spedito gli scarti della trilogia di Paradise). Finita la mostra, dal 9 settembre i corti saranno visibili in streaming sul sito del Festival.