A cinquanta anni dal loro pronunciamento le parole di Martin Luther King suonano sempre alte.
Ho provato a rileggerle. Mi sono venuti in mente gli Ultimi di oggi. Diversi da quelli di ieri, ma sempre ultimi. Nella nostra “società della burocrazia” gli Ultimi continuano a essere ultimi. Quante donne, uomini, bambini di pelle nera o bianca, di nazionalità italiana o africana o sudamericana sono stati trasformati da esseri umani in numeri, percentuali senza un volto. Quanta forza lavoro si vede negato ogni riguardo.
In epoca di crisi gli Ultimi sono solo numeri da incasellare, da spostare, da esibire, secondo le necessità del momento, in furibondi talk-show. Eppure gli Ultimi non sono pochi, sono la maggioranza.
Ultimi siamo tutti noi che ogni giorno dobbiamo reinventarci la vita per non soccombere agli umori o ai giochi sotterranei del potente di turno. Ultimi sono i disoccupati, i licenziati, i cassintegrati di qualunque etnia.
Ultimi sono i nostri figli che difficilmente troveranno piena occupazione nei prossimi anni. Ultimi siamo tutti noi genitori che, a causa degli scarsi fondi destinati all’istruzione, dobbiamo dipingere i muri scrostati delle scuole pubbliche dove mandiamo i nostri figli (così almeno accade nella scuola di mio figlio). Ultimi sono tutti quei genitori che quest’anno faticheranno ad acquistare i testi scolastici per l’istruzione e la cultura dei propri figli.
Ultimi siamo tutti noi che il progresso scientifico (sacrosanto) ha dimenticato: quanti possono accedere a costose terapie per risolvere i propri problemi di salute? Ultimi siamo tutti noi: isolati e impauriti consumatori barricati nelle nostre case. Ultimi siamo tutti noi che paghiamo e senza sconti la crisi e gli errori dei potenti, degli uomini in “carriera” cui, alla fine del mese, lo stipendio comunque non mancherà. Ultimi siamo tutti noi che ci lasciamo manovrare, quando non schiacciare, dalle leggi dell’economia e del consumo e incomprensibilmente ci ergiamo addirittura a paladini delle “regole del mercato”. Ultimi siamo tutti noi che con il televisore acceso in cucina ci ritroviamo ogni sera a cena con il potente che più ci aggrada sentendoci suoi pari.
La realtà invece è un’altra e ci vede più vicini agli Ultimi che disprezziamo: disoccupati senegalesi, marocchini, albanesi, romeni che cercano un modo per sopravvivere. Ultimi siamo tutti noi che ci scagliamo contro altri Ultimi per fingere, almeno di fronte al vicino di casa, di non essere noi l’ultima ruota del carro. Avessi l’umanità del compianto don Gallo arriverei a dire che gli Ultimi sono anche i razzisti.
Si potrebbe andare avanti così per ore e ognuno integrerebbe l’elenco a proprio piacimento. Eppure la Costituzione Italiana garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, la pari dignità sociale senza distinzioni di sesso e di razza. La Costituzione Italiana nell’articolo 3 dichiara che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
In questo scenario cosa resta da fare a noi Ultimi per riaccendere la speranza? Difficile dirlo. Certo gli sforzi individuali, le chiusure, le barricate non serviranno a molto. Forse potemmo attaccarci a quel po’ di concreto che ci resta tra le mani: la crisi. Da lì provare a ripartire. Rialzarsi insieme.
La crisi attuale, nella sua durezza, può rappresentare un’occasione per provare a collaborare: Ultimi con Ultimi. Insieme.
Razzismo e discriminazione sono le armi più efficaci per impedire di parlarci e di tornare a sperare in un futuro diverso da quello che ci propone la società del cinismo burocratico. Rileggere le parole di Martin Luther King rappresenta, oggi, uno stimolo in più per uscire dall’isolamento che ci fa passivi. Insieme si può ricominciare. Insieme.