Abituati come siamo alla politica del giorno per giorno, al governo che trova coperture anticipando soldi già stanziati e promettendo di rimetterli poi a posto, che rinuncia a interventi strutturali perché ha un orizzonte di due mesi, può stupire che qualcuno osi fare programmi a dieci anni. Non in Italia, ovviamente. Ma in Francia: Hollande ha creato un “Commissariato generale per la strategia e la prospettiva” per aiutare l’esecutivo a capire in che direzione deve andare.
 
Pochi giorni fa il Comitato, guidato da uno degli economisti europei più autorevoli, Jean Pisani-Ferry, ha pubblicato il rapportoQuale Francia tra dieci anni? che poi è servito come base di discussione a un seminario governativo. La cosa interessante è l’approccio: Pisani-Ferry spiega che la Francia è un grande Paese, ha tutte le potenzialità per consolidare il proprio ruolo in un mondo che comunque sta cambiando in fretta. Oggi i francesi sono l’1,4 per cento della popolazione mondiale e saranno l’1,4 anche nel 2023. Ma se oggi pesano per il 3,1 per cento del Pil globale, tra un decennio saranno scesi al 2,7 (guardando il Pil pro capite dal 2,2 all’1,9). Niente drammi, insomma. Ma bisogna scegliere che approccio tenere.
 
Si può imitare il Giappone, perseguendo il modello del Paese industriale molto chiuso che esporta beni sempre più sofisticati. Oppure si può seguire la traiettoria dell’Inghilterra, lasciando l’industria al suo destino e concentrandosi sui servizi. La Francia, assicura il rapporto, ha le potenzialità per riuscire bene in entrambi gli scenari. Ma bisogna scegliere. Il “modello giapponese” impone “scelte pesanti”: rafforzare l’istruzione tecnica, meno università e più scuole professionalizzanti, tenere bassi i prezzi dell’energia per rendere competitive anche le industrie pesanti, spostare risorse verso gli incentivi per attirare investimenti. Puntare sui servizi richiede “una trasformazione più profonda”: la Francia dovrebbe diventare una società aperta, riformare i servizi pubblici per aumentare la competizione, attirare dall’estero talenti individuali e non fabbriche, pensare uno sviluppo centrato sulle città e non sui distretti.
 
E visto che lo sviluppo si fonda sui singoli invece che su grandi gruppi, bisognerà rassegnarsi a maggiori disuguaglianze di reddito. Il rapporto di Pisani-Ferry sollecita anche una riflessione su cosa si intende per “progresso”, se ci accontentiamo del Pil o consideriamo anche altre variabili. Ecco, queste sono le grandi scelte di fondo che un Paese, anche se inserito nell’Unione Europea che ha un crescente peso decisionale, deve affrontare. Mentre Parigi pensa ai prossimi dieci anni, a Roma si discute soltanto di come rimandare l’Imu di altri due mesi.
 
@stefanofeltri
 
Il Fatto Quotidiano, 28 Agosto 2013
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