Resta integra però l’obiezione: se questa era l’intenzione, perché non dare alla Kyenge un ministero diverso? Che so: Trasporti, Salute, Istruzione o qualunque altro che documentasse davvero la dimensione paritaria tra vecchi e nuovi italiani. Invece no: si affida all’immigrata la cura – con un ministero nuovo di zecca – degli immigrati e con ciò si convalida l’idea che la questione, tutto sommato, resiste nel recinto di quel mondo.
Non è problema capitale delle società avanzate, non è discussione che interpella i criteri e i limiti con i quali il mondo ricco gestisce il suo rapporto con il mondo povero, non è tema sul quale i governi devono svolgere la più delicata delle riflessioni e impegnare gli esponenti di primo piano affinché ogni scelta abbia il valore di un impegno politico condiviso. Di più: affidare a una immigrata il ministero dell’Integrazione significa anche affidare a una osservatrice particolare (per nascita, storia personale, colore della pelle) questioni che pesano in modo naturalmente diverso nella civiltà, nella cultura, nell’economia di una intera società.
La Kyenge rischia di ritrovarsi, senza sua colpa, utilizzata come una volta si faceva con le figurine Panini, il meraviglioso album dei calciatori: per completare la pagina mi serve il centravanti della Fiorentina, ce l’hai?
Il Fatto Quotidiano, 28 Agosto 2013