“Posso avere a che fare con i maiali, ma le persone gentili mi spiazzano”. La battuta è di un candido giglio come la giovane attrice Mia Wasikowska che, da ‘Alice nel paese della meraviglie’ di Tim Burton, si è trasformata in quella Robyn Davidson che nel 1977 attraversò il deserto australiano da est a ovest in compagnia di quattro dromedari e un cane.
Robyn/Mia è la protagonista di ‘Tracks‘, regia di John Curran, in concorso al Festival di Venezia 2013: ragazza solitaria, nata nel Queensland, che fugge senza irruenza ideologica da una famiglia dai troppi traumi verso l’Australia e che, ancor prima di amare l’essere umano, entra in simbiosi con gli animali: li tocca, li bacia, ci dorme insieme, si scusa dopo averli sgridati e o ripresi con qualche energica bastonatina.
La storia della “donna dei cammelli” è stata immortalata prima di ogni altro dal fotografo Rick Smolan del National geographic, che all’epoca finanziò realmente con tremila dollari il viaggio di Robyn; poi è stata libro cult nel paese dei canguri, anche se nel film se ne vede uno e fa pure una brutta fine; infine è diventata un film dove la natura e la terra, le radici del sogno e la necessità di emancipazione, si fondono in un unico moto in avanti, tra sabbie desertiche e rotolanti “bushes”: 2700 chilometri percorsi in quasi un anno di cammino – da aprile a dicembre del ‘77 – per una donna di 27 anni in compagnia di Bubs, Dookie, Zeleika e Golia (il dromedario venne introdotto a metà ‘800 in Australia come bestia da soma, ndr) e al labrador Diggity.
“Negli anni ’70 i giovani erano in grado di fare cose straordinarie, spingersi al limite di ogni esperienza personale – spiega la Davidson, oggi 63enne, presente al Lido per accompagnare in prima mondiale il film di Curran – io ero semplicemente alla ricerca di me stessa e avevo bisogno di un lungo periodo di solitudine per rimettere insieme i pezzi della mia personalità”.
Le insidie maggiori per l’isolamento, oltre all’iniziale diffidenza di “genere” dei rudi allevatori di dromedari presso cui la ragazza si ferma due anni per imparare a domare le bestie, arrivano soprattutto dagli esseri umani: il fotografo che procura alla Davidson “l’ingaggio” dalla rivista – il reportage uscito nel marzo 1978 venne letto da più di 11 milioni di persone – non comprende subito lo spirito del viaggio, ma sono soprattutto i turisti e i giornalisti a piombare sulle tracce della signora dei cammelli provocandone sofferente disappunto: “Quelle presenze furono assurde. Non avevo intrapreso quel viaggio per spettacolo. Certo oggi sarebbe totalmente diverso tra gps e satelliti a localizzare ogni passo. Anche se reputo che molti giovani di oggi provino un grande desiderio di scollegarsi e sconnettersi dal mondo informatizzato”.
E più che la rabbiosa ribellione del protagonista di ‘Into the wild’, in ‘Tracks’ Curran cerca semmai di trasmettere il rispetto necessario, alla maniera di colleghi come Rolf De Heer e Peter Weir, verso quegli aborigeni che hanno visto le loro immense e sacre terre attraversate dal tragitto della donna: tanto che perfino una didascalia iniziale nel film porge le scuse se con “immagini o voci si sono offesi i defunti indigeni”.
Film australiano a tutto tondo anche perché pare che in patria sia una sorta di emblema produttivo indipendente allo strapotere della Disney che deteneva i diritti del libro della Davidson fino a poco tempo fa: “Non volevo che fosse Hollywood a realizzarlo – ha spiegato l’ex avventuriera – e sono fiera che sia stata un’attrice delicata come Mia a interpretarmi”.
“L’esperienza di ‘Tracks’ mi ha talmente colpito che dopo diversi anni di assenza sono tornata a vivere in Australia – ha spiegato una Wasikowska entusiasta come il suo personaggio del rapporto instauratosi con i dromedari – è incredibile come questi bestioni enormi siano docili e rispondano alle richieste del copione. Recitano meglio dei cani e perfino degli uomini”.