Allarme rosso per i conti del giornale Libero. Il bilancio 2012 fotografa una situazione drammatica: 5 milioni di copie in meno su base annua e pubblicità in calo per 1,5 milioni di euro. E il dipartimento Editoria della Presidenza del Consiglio nega contributi per 34 milioni di euro. Il capitale è sceso sotto soglia e gli amministratori chiedono ai soci di versare il mancante.
Tutta colpa dell’Agcom, l’autorità di garanzia per le comunicazioni. Per anni il dipartimento Editoria ha evitato di vedere che dietro due giornali finanziati, Libero e Il Riformista, c’era lo stesso soggetto, il gruppo Angelucci. Dopo una multa dell’Agcom, lo Stato ha chiesto i soldi indietro e bloccato i pagamenti per il futuro. Nella relazione sulla gestione della società Editoriale Libero Srl il presidente Arnaldo Rossi spiega che, dopo due sentenze del Consiglio di Stato, il dipartimento non pagherà i 18,3 milioni di euro chiesti per il triennio 2008-2010 e vuole anche indietro i 15,7 milioni di euro incassati indebitamente da Libero tra 2006 e 2007. Sono fermi i 4,8 milioni chiesti per il 2011 e dei 4 milioni del 2012 nulla si sa. Sommando i milioni da restituire, quelli che non arriveranno mai e quelli in bilico, mancano all’appello 42 milioni di euro.
Un buco che rischia di risucchiare la testata fondata nel 2000 da Vittorio Feltri e costata ai contribuenti ben 39 milioni di euro fino al 2007, come denunciava su Panorama il direttore Maurizio Belpietro, poi diventato direttore proprio di Libero e membro del cda della società. I ricavi complessivi nel 2012 sono scesi del 23 per cento e Libero continua a pagare gli stipendi (8,5 milioni di euro il costo del lavoro) grazie alla generosità del gruppo Tosinvest, attivo nel settore sanitario e fondato dal deputato Pdl Tonino Angelucci. Editoriale Libero ha come socio unico la Fondazione San Raffaele, fondata dalla Tosinvest. Il patron Tonino Angelucci è indagato, con il presidente di Libero Arnaldo Rossi, per falso e truffa aggravata per le erogazioni pubbliche indebite dal dipartimento Editoria. Il 27 giugno le sue società hanno subito un sequestro di 20 milioni di euro.
Il consigliere Maurizio Belpietro ha gettato la spugna: il 5 giugno scorso il direttore, in teleconferenza con l’assemblea dei soci che si teneva a Roma, si è dimesso dal consiglio. Al suo posto è entrato un vecchio amico degli Angelucci: Carlo Lancella. Il pm Henry John Woodcock, allora a Potenza, lo aveva intercettato e indagato nel 2003. Voleva arrestarlo perché sospettava che avesse creato un’associazione a delinquere dedita a condizionare nomine e appalti a Roma. Accuse non riscontrate e l’inchiesta fu archiviata. Angelucci proviene dalla Uil, Lancella muove i primi passi nella Cisl. Nelle intercettazioni del 2003 emergevano i rapporti del neoconsigliere di Libero con esponenti di spicco del Pd di area ex Cisl, il presidente delle Poste, Giovanni Ialongo, Sergio D’Antoni e Franco Marini. Per i suoi 70 anni, all’amico Franco, Lancella donò un Rolex anni Trenta che – stando alle sue affermazioni intercettate da Woodcock – valeva 20 mila euro, anche se Marini non ne immaginava il suo valore. Lancella dopo avere fatto furore negli anni Novanta nel settore delle pulizie insieme all’ex patron del Perugia Luciano Gaucci, ora si lancia nell’editoria. La società degli Angelucci – come spiega il presidente Rossi agli azionisti nella sua relazione – ha perso due volte davanti alla giustizia amministrativa: “Il Consigiìo di Stato ha dichiarato inammissibile, con sentenza del 31 gennaio 2013, il ricorso per revocazione ex art. 106 (terzo grado, ndr) proposto dalla Società avverso la sentenza (di secondo grado, Ndr) depositata il 16 aprile 2012”. La situazione economica è precipitata: “Nel complesso, il rischio di bilancio connesso all’eventuale definitivo esito negativo scaturito dall’Indagine Agcom in capo alla Società ammonterebbe a complessivi euro 34 milioni circa, con conseguenti significativi effetti sull’equilibrio patrimoniale-finanzlario ed economico della società”. Gli amministratori di Libero avrebbero dovuto riscrivere i bilanci, ma restano appesi a una speranza: “La Società – scrive Rossi – ha presentato in data 5 febbraio 2013 ricorso avanti alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo”. Visto che “appare probabile il rischio che l’esito finale del procedimento possa comportare pregiudizi negativi per i contributi all’editoria nei termini sopraindicati”, la società editrice di Libero ha chiesto una manleva agli Angelucci . La holding lussemburghese del gruppo, la Spa di Lantigos SCA, si è impegnata a “manlevare e tenere indenne l’Editoriale Libero Srl dalla perdita che dovesse derivare dalla revoca e/o esclusione dei contributi fino all’importo massimo pari al 90 per cento”.
Il bilancio 2012 chiude con perdite per un milione e 871 mila euro e il presidente Rossi chiede ai soci di mettere subito mano al portafoglio perché “per effetto di tale perdita il capitale sociale è diminuito di oltre un terzo”. Nonostante la crisi, Libero non ha rinunciato a una nuova autovettura per 33 mila euro arricchendo il parco macchine fino a 189 mila euro. Come se non bastasse, la Libero Editoriale ha subito una piccola condanna a Bari nella vicenda della corruzione di Raffaele Fitto da parte del figlio di Tonino Angelucci, Gianpaolo. “Il Tribunale di Bari il 13-02-2013 – scrive il presidente Rossi – ha condannato la Società al pagamento della sanzione pecuniaria di 2600 euro oltre al pagamento delle spese processuali (…) ritenendola colpevole delle violazioni amministrative di cui agli articoli 21 e 25 del D. Lgs. 231/01”.
Libero sta diventando oneroso per gli Angelucci. Per tenere in piedi la baracca hanno dovuto sborsare, nel 2012, ben 17 milioni. A gennaio 2012 c’è stato un aumento di capitale per 7 milioni di euro, interamente versato dal socio unico, la fondazione San Raffaele degli Angelucci. Altri 10 milioni sono serviti come acconti per la manleva sui contributi e, scrive Rossi, “ulteriori acconti verranno ragionevolmente erogati nel 2013”. Grazie a queste somme “pur con le difficoltà del momento alla data, non sono riscontrati ritardi nei pagamenti degli stipendi”.
Insomma, Belpietro e gli altri 81 dipendenti ricevono lo stipendio puntualmente grazie al mecenatismo del deputato Pdl che maneggia con disinvoltura cliniche, Ferrari e giornali. Tonino Angelucci è indagato anche per i milioni ottenuti dalle sue cliniche nel Lazio, ma Libero si lancia intrepido nelle campagne contro gli sprechi della Sanità, senza citare i guai pugliesi di Gianpaolo o il danno erariale contestato a Tonino per le cliniche laziali. Libero ha sempre criticato lo Stato sprecone che gli dava, illecitamente, i soldi per sopravvivere. Con gli Angelucci è più difficile sputare nel piatto in cui si mangia.
Da Il Fatto Quotidiano del 28 agosto 2013