Un’impresa monopolistica rende sempre di più di una in concorrenza e quindi vendendola senza liberalizzarla si ricavano sempre più soldi. A Rimini, sede del meeting di Comunione e liberazione e Compagnia delle Opere, si è parlato di privatizzazioni, anche delle Ferrovie dello Stato, in termini di vendita parziale di quote della Spa pubblica a privati. Ovviamente al fine di incassare soldi. Ipotesi orripilante, come cercheremo di argomentare. Ne verrebbe fuori una società mista, a maggioranza pubblica, poco liberalizzata e molto sussidiata. I privati comprerebbero quote ovviamente solo se gli venissero garantiti sia i sussidi attuali che il grado attuale di monopolio, oppure sarebbero suicidi. Per la “privatizzazione ” di Tirrenia (traghetti), è andata esattamente così.
Fs riceve dallo Stato e dalle Regioni, cioè da noi, circa 3 miliardi all’anno per far andare i treni, e poi una quota analoga, anche se variabile, per investimenti, dei quali non deve rendere conto a nessuno, e che non deve nemmeno ammortizzare. Poi incassa circa 3 miliardi dalle merci e dai viaggiatori. Occorre ricordare che Fs è divisa tra Rfi, cioè la rete ferroviaria, rotaie, stazioni e Trenitalia che fa andare i treni. La rete (Rfi) riceve un miliardo dallo Stato più gli investimenti, è un monopolio naturale, ha bisogno quindi di un regolatore indipendente, che finora è mancato. Speriamo nell’Autorità di recente costituzione.
Trenitalia, a sua volta, è divisa in varie parti: i servizi Alta velocità (Av), che fanno un sacco di profitti e hanno un po’ di concorrenza in Ntv di Montezemolo, che però non sembra essere minacciosa. I servizi Av non sono sussidiati (ci mancherebbe altro, basta il fatto che non pagano gli investimenti per la rete, ma solo i costi d’uso). Gli altri servizi passeggeri di lunga distanza non sono liberalizzati, e Trenitalia riceve mezzo miliardo all’anno di sussidi per garantire il servizio. E qui c’è un problema anche per l’Av: se fossero liberalizzati, ci sarebbero treni sulle vecchie linee parallele all’Av, un po’ più lenti ma certo molto meno cari, per persone con meno fretta e meno soldi in tasca. I profitti dell’Av certo ne soffrirebbero, e magari poi nascerebbe una compagnia ferroviaria low cost come nel settore aereo. Poi ci sono i servizi regionali, che ricevono 1,5 miliardi all’anno. Non si sa se fanno profitti o no, perché gare serie non sono mai state fatte. In Germania si son avute riduzioni di sussidi del 20 per cento, con le gare, a parità di servizi e di tariffe. Anche qui ci vuole un regolatore serio e indipendente che controlli le gare, e le faccia fare rapidamente. Infine c’è il servizio merci di Trenitalia (Cargo), che è già notevolmente liberalizzato, e non brilla né per prestazioni né per redditività.
Che fare allora di sensato in questo quadro? Certamente in questa fase non è pensabile di “vendere” la rete, occorre renderla più efficiente, e per questo si deve aspettare, sperando che l’Autorità funzioni bene (anche se i criteri di nomina sono stati quanto di meno trasparente si possa immaginare). Si può (e si dovrebbe!) vendere da subito Cargo, ma il fatto che questa esca da una qualche protezione implicita generata dall’appartenere allo Stato certamente non consentirà di attirare molti compratori, data anche la storica debolezza della domanda di trasporto merci per ferrovia (la Francia ha perso nel decennio il 40 per cento dei suoi traffici…).
Prima liberalizzare
Per l’Av e i servizi sussidiati di lunga distanza occorre prima liberalizzare molto più di quanto sia stato fatto finora (ancora occorre il ruolo dell’Autorità), e solo dopo eventualmente vendere. E qui lo Stato potrebbe “sfruttare” davvero i privati: se si presentasse uno o meglio più compratori che ritenessero, grazie alle loro capacità manageriali, di guadagnare di più di quello che potrebbe fare una gestione pubblica, questa “scommessa” si tradurrebbe in offerte d’acquisto a prezzi più elevati (e questo è vero per qualsiasi acquisto di una azienda sul mercato).
Come attirare i privati
Per quanto riguarda i servizi ferroviari regionali di Trenitalia, oggi nessun privato li comprerebbe, dato l’atteggiamento iper-protettivo delle gestioni pubbliche dei servizi espresso finora sia dallo Stato sia dalle regioni. Ma se gare serie dimostrassero che questo protezionismo è davvero venuto meno, il quadro potrebbe cambiare a beneficio di tutti. Certo l’unica cosa da non fare è congelare la situazione presente, costruendo un bella società mista, nella quale la prima preoccupazione della parte privata sarebbe quella di garantire sussidi pubblici e condizioni di monopolio (comportamento perfettamente razionale, magari aiutato da qualche “utilità” erogata alla parte pubblica). Purtroppo, come si può ben capire, queste soluzioni miste piacciono moltissimo anche ai nostri politici e amministratori.
Marco Ponti
professore di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano
Da Il Fatto Quotidiano del 28 agosto 2013
Riceviamo e pubblichiamo la seguente precisazione dall’ufficio stampa delle Fs Italiane
Gentile direttore,
le riflessioni di Marco Ponti sull’eventuale privatizzazione del Gruppo FS Italiane, (28 agosto), poggiano su alcune affermazioni e tesi non vere. Ponti continua a definire “sussidi” quanto Stato e Regioni pagano a Trenitalia come corrispettivi per i servizi richiesti e forniti dalla società di trasporto. Un po’ come chiamare sussidi al supermercato i soldi che diamo alla cassiera per saldare il conto della spesa. O quelli che lo Stato paga a chi fornisce energia elettrica a ministeri e palazzi pubblici.
Ostinandosi a parlare di sussidi Marco Ponti vuole consegnare ai lettori l’immagine di un’azienda appetibile ai privati perché beneficiata da finanziamenti indiscriminati e opachi. Insomma, da quegli aiuti pubblici che da anni la Comunità Europea ha severamente vietato, in ogni forma. Non è così. Semplicemente, dove non c’è profitto, i servizi si fanno solo se Stato e Regioni li considerano necessari alla collettività, ne affidano la gestione a una società, pagano i corrispettivi previsti da Contratto di Servizio. Così come li dovrebbero pagare a qualsiasi privato che svolgesse quel servizio al posto di Trenitalia. E’ così in tutto il mondo.
Quanto alla liberalizzazione, la riduzione di spese per il committente non è per niente certa, come Ponti prefigura quando scrive che in Germania, grazie alle gare, si sono ridotte “del 20 per cento”. Omette di dire che corrispettivi e tariffe, in Germania, ancora oggi sono superiori di quasi il 50% rispetto all’Italia. Pagano di più regioni e pendolari, incassano di più le società di trasporto: 18,5 contro 13 centesimi di euro per ogni km percorso da ogni passeggero. Il tutto a sostanziale parità di costi unitari. Senza contare, infine, che, in Germania, lo Stato assicura anche l’acquisto dei treni. Non è certo un caso, quindi, che le gare regionali, svolte negli ultimi dieci anni in Italia, siano andate deserte o abbiano visto Trenitalia come unica partecipante.
Vive cordialità.
Federico Fabretti
Direttore Centrale Media
Ferrovie dello Stato Italiane
Gentile dottor Fabretti,
FORMALMENTE oggi si chiamano corrispettivi e non più sussidi. Ma la sostanza non mi sembra cambiata. “Corrispettivo”, invece di sussidio, farebbe pensare che l’acquirente Stato misuri a cosa corrisponda ogni euro dei suoi (nostri) soldi: tot di riduzione di congestione stradale, tot di riduzione di incidenti e CO2, tot di benefici sociali ecc. Oggi queste misurazioni sono semplici da fare, e i corrispettivi si dovrebbero modulare di conseguenza (magari anche aumentandoli…). Ma questo non viene MAI FATTO. Forse si avrebbe qualche sorpresa, non crede?
Che infine FS, impresa largamente dominante (e pubblica), difenda il monopolio mi sembra più che naturale, addirittura doveroso.
Ma l’Autorità di regolazione forse è stata costituita per qualcosa….”Spes ultima dea”.
Molto cordialmente
MP