L’armata berlusconiana ha prodotto sei cosiddetti pareri pro veritate; hanno scritto 74 pagine. Dicono tutti la stessa cosa: dice la “verità” chi afferma che il Parlamento non è obbligato a far “decadere” B. dall’ufficio di senatore come conseguenza automatica della sentenza definitiva emessa dalla Cassazione nei suoi confronti; e che, addirittura, B. non deve affatto “decadere”. Ciò perché la legge del 2012 che prevede tale decadenza è incostituzionale: perché limitare il diritto di elettorato passivo è di per sé incostituzionale; perché la legge non può applicarsi a deputati e senatori; e perché la decadenza non può derivare da reati commessi prima della sua entrata in vigore. Inoltre perché, comunque, il Parlamento deve riesaminare tutta la questione .
In estrema sintesi, le tesi sono le seguenti:
1) Stabilire chi possa essere eletto parlamentare è cosa che riguarda esclusivamente il Parlamento. Una legge che attribuisca alla magistratura il potere di rendere ineleggibile un delinquente o, se già eletto, di farlo decadere dall’ufficio è incostituzionale.
2) Vero è che tale potere la magistratura ha esercitato nei confronti di sindaci e presidenti di Regione e che nessuno ha avuto da ridire; ma l’ufficio di parlamentare è cosa diversa: a deputati e senatori la legge non si può applicare.
3) L’ineleggibilità e la decadenza debbono essere considerate sanzioni penali. Da ciò deriva l’impossibilità di applicare queste sanzioni a chi ha commesso i reati per i quali è stata pronunciata sentenza di condanna in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge.
4) Il Parlamento agisce come organo politico (tesi n. 1) e valuta discrezionalmente la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge come causa di ineleggibilità o decadenza: cioè i fatti accertati con sentenza definitiva di condanna e l’applicazione corretta delle leggi che li sanzionano; tra queste, quella sull’ineleggibilità e l’incandidabilità. Quindi ha il diritto/dovere di promuovere, avanti alla Corte costituzionale, conflitto di attribuzione contro l’Autorità giudiziaria che ritenga sussistenti fatti e applicabili leggi che invece il parlamento giudichi insussistenti e inapplicabili.
5) Il Parlamento agisce come giudice (tesi n. 2) e ha il potere di ri-valutare i requisiti previsti dalla legge come causa di ineleggibilità o decadenza: cioè i fatti etc. Insomma un quarto grado di giudizio successivo a quello di Cassazione. In questo caso, essendo giudice, ha il potere di sollevare eccezione di illegittimità costituzionale di una legge quale che sia.
Di queste affermazioni si coglie immediatamente l’incongruenza.
a) È la stessa Costituzione a prevedere che “La legge determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore ” (art. 65). È per questo che il Parlamento non potrebbe ritenere eleggibile Totò Riina o gente come lui. Triste per i fautori della delinquenza al potere; ma vero.
b) Chissà perché sindaci e presidenti di Regione delinquenti possono essere cacciati ma i Parlamentari delinquenti ce li dobbiamo tenere stretti stretti. Nei pareri pro-veritate nulla si si dice su questo punto.
c) Gli estensori dei pareri sono bravi; e tutti sanno che la selezione naturale ha dotato gli avvocati di unghie lunghissime per arrampicarsi sugli specchi. Ma resta il fatto che Corte Costituzionale e Cedu hanno detto che l’ineleggibilità e la decadenza non sono sanzioni penali. Sicché, di violazione del principio di cui all’art. 2 del codice penale (il cosiddetto divieto di retroattività) non se ne parla. E poi la legge che prevede la decadenza si riferisce alle condanne, non ai reati. I reati di B sono antecedenti l’entrata in vigore della legge ma la condanna è posteriore; quindi, tutto regolare. La Corte Costituzionale ha già detto che si tratta semplicemente di constatare l’“indegnità morale” del parlamentare. È per questo che non si tratta di “sanzioni penali” ma di semplici requisiti morali. Ed è per questo che il Parlamento non deve ri-valutare un bel niente: deve prendere atto della sentenza e cacciare B.
d)Sul ricorso alla Corte sono d’accordo; anche se nessuna legge prevede un quarto grado di giudizio avanti al Parlamento (cosa su cui tutti gli autori dei pareri pro-veritate sorvolano). Nell’un caso o nell’altro meglio farlo. Così, quando finalmente B sarà fatto fuori, sarà un po’ (solo un po’, le facce di tolla sono la norma tra B&C) più difficile dire che si tratta di un complotto ai suoi danni. Certo, tutto ciò farebbe slittare la defenestrazione di B di circa un anno; che è poi quello che gli serve, ma la Corte ha già detto che il ricorso è possibile. E quindi c’è poco da fare.
Detto tutto questo, ciò che mi lascia perplesso è il fatto che nessuno di questi giuristi, a chi gli chiedeva un parere pro-veritate sulla decadenza di B, abbia sentito il bisogno di rispondere: “A bbiate pazienza ma qui non è una questione giuridica; si tratta di un problema politico, etico e sociale. Non potete seriamente chiedermi di elaborare una teoria per mantenere tra i Senatori della Repubblica un delinquente condannato per frode fiscale. Ne va dell’o n orabilità del Paese, delle Istituzioni e, tutto sommato, anche mia. Io, a prestarvi la mia scienza per questo scopo, non ci sto”.
il Fatto Quotidiano, 30 agosto 2013