A luglio un'operazione dell'Interpol ha vietato la vendita di vini in polvere "assimilati" ai più noti DOC e IGP italiani. Una vittoria importante a difesa di un settore agroalimentare cruciale per il nostro paese
Passata ingiustamente inosservata nel caos estivo, tra una crisetta di governo e un Royal Baby, la notizia è di quelle importanti per la lotta alla contraffazione alimentare: l’Interpol, organizzazione internazionale delle polizie criminali, ha bloccato la vendita dei cosiddeti wine kit nel Regno Unito. Si tratta, come raccontato qualche mese fa, di preparati in polvere che dovrebbero permettere di ottenere uno pseudovino accostato però ad alcuni dei migliori DOC e IGP italiani: dal Chianti al Barolo, dal Valpolicella all’Avola. Un’operazione che, oltre che illegale, è pericolosa per le nostre produzioni (la Confederazione italiana agricoltori ha stimato la perdita annua legata a questo business illecito in 60 miliardi di euro) e che stava subendo una decisa accelerazione grazie allo sbarco dei kit su ben note piattaforme di e-commerce come eBay o Amazon.
Grazie all’imput dei NAC dei Carabinieri (il nucleo antifrodi dell’Arma) il primo, importante, stop è arrivato come detto a fine luglio nel Regno Unito. Un risultato sicuramente parziale ma di grande spicco, dato che è stata la prima volta che la tutela del Made in Italy in questo campo assumeva rilevanza “di polizia” e non meramente commerciale, con ricorsi e diffide. Come sottolineato anche dal ministro delle Politiche Agricole, De Girolamo: “Un risultato straordinario, – ha detto – ringrazio i NAC per il grande lavoro svolto in questi mesi nell’attuazione di questa operazione. Con la cessazione delle vendite di prodotti non conformi, è stata di fatto riconosciuta la frode nei confronti dei consumatori inglesi. Un grande punto a favore della battaglia per la tutela del Made in Italy”. E piena soddisfazione è stata espressa anche da Coldiretti e Cia, che hanno però ricordato come non si possa abbassare la guardia, dato che la produzione dei kit è ormai sempre più capillare ed incontrollabile, andando dal Nord America ai paesi scandinavi solo per citarne alcuni. Decisamente un brutto pericolo per quello che con oltre 500 vini a denominazione d’origine è uno dei settori chiave per l’Italia, costituendo da solo circa il 20% dell’export agroalimentare con un fatturato oltreconfine di 4,7 miliardi di euro. Servono ancora occhi ben aperti.