E’ come se improvvisamente, ad un autogol subito, il mister del difensore distratto cominciasse ad esultare. A volte capita di assistere a cose di questo tipo nel cortocircuito logico che è diventata la politica italiana.

Siamo a Parma. Da qualche giorno l’inceneritore ha ricominciato a bruciare materia prima seconda. La storia del forno nasce da lontano, quando ancora Beppe Grillo non aveva deciso di dar vita al Movimento 5 Stelle. La Provincia di Parma, amministrata dal centrosinistra, inserì la realizzazione di un inceneritore nel Piano provinciale dei rifiuti, insieme ad altre importanti azioni quali il potenziamento della raccolta differenziata e progetti per la riduzione a monte degli stessi.

Il Comune di Parma, allora amministrato dal Pdl, si fece avanti per accogliere l’impianto sul proprio territorio. Tra iter autorizzativi, progettazione e avvio del cantiere gli anni passano e la politica locale, anche in materia di gestione dei rifiuti, cambia. Ma il forno è in fase di ultimazione e nessuno, tranne i 5 stelle e il comitato gestione corretta rifiuti, osa metterlo in dubbio.

Poi, la storia, la si conosce più o meno tutti. Campagna elettorale per le comunali, tra destra e sinistra il naso ce lo ficca Pizzarotti che diventa, un po’ a sorpresa, primo cittadino, promettendo che avrebbe fatto di tutto per impedire all’inceneritore di funzionare.

Non c’è riuscito, suo malgrado. E questo è un dato di fatto. Ciò che sta però accadendo in questi giorni, come del resto accadde durante gli anni di dibattito in città e provincia rispetto a questa discussa e controversa grande opera, è la messa in scena di uno spettacolo di bassissimo profilo culturale e politico.

Nessuno sta al merito della questione. Da tutta Italia esponenti di centrosinistra e centrodestra (gli stessi che quel forno hanno autorizzato e realizzato) puntano il dito contro l’attuale maggioranza in Comune. E poco importa se una delle grandi scuse utilizzate allora per realizzare l’impianto (e cioè che ogni provincia dovesse essere autonoma e autosufficiente per lo smaltimento dei propri rifiuti) sia venuta meno, con la cancellazione delle agenzie di ambito territoriali confluite nell’unica, regionale, rimasta e gestita da Bologna… Poco importa se nel frattempo una risoluzione del Parlamento Europeo chieda esplicitamente alla Commissione l’introduzione del divieto di bruciare rifiuti riciclabili e compostabili.

Poco importa, infine, se decine di esperienze in tutta Italia (spesso messe in pratica da rappresentanti di quei partiti che a livello nazionale insistono, sbagliando, a perseguire la strada dell’incenerimento dei rifiuti) hanno dimostrato che un’alternativa concreta esista alle discariche e ai cosiddetti termovalorizzatori (vedi Ponte nelle Alpi, tutti i comuni della provincia di Treviso, Capannori…).

L’unica cosa che conta è puntare il dito contro il Comune, sfruttare l’onda della polemica per conquistare uno 0,2% di consenso. Nessuno che parli di occupazione, salute, strategia industriale e filiera virtuosa dei rifiuti.

Nessuno che dica che l’unica cosa di cui abbiamo bisogno in questo Paese è un Governo nazionale che avvii nell’immediato una messa al bando degli impianti più obsoleti e miri ad un piano nazionale di una gestione corretta e virtuosa di questo problema: raccolta differenziata spinta, tariffazione puntuale, leggi per la riduzione a monte e per il riutilizzo a valle dei rifiuti.

E in questo modo le scelte concrete a favore delle comunità locali si perdono dietro la caciara che arriva dalle curve rivali. Qualcuno ha segnato, non c’è dubbio. Ma è un autogol collettivo, in cui a perdere sono i cittadini e l’ambiente. Ancora una volta.

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