Musica

Quelle ombre sopra i Nine Inch Nails

Prima di inoltrarsi nelle specifiche del concerto mi si permetta un appunto: per parcheggiare antistante al Forum di Assago occorrono sei euro. Al parcheggiatore è stato fatto presente che la cifra in questione è senza mezzi termini “una vera ladrata”! Ebbene, il tipo – senza scomporsi minimamente – ha risposto di andare a reclamare in Comune. Qualcuno faccia allora pervenire Questa Mia negli uffici milanesi, perché tali cifre non sono accettabili; saranno pur “pochi euro” ma sono certamente sufficienti per far sì che la sensazione fastidiosa di esser stati rapinati non passi nemmeno dopo aver bevuto la prima birra.

A sgomberare il campo dagli equivoci ci pensano però i Tomahawk. La curiosità per una delle tante incarnazioni di Mike Patton è alta, tanto che trenta minuti di set bastano per ripagare pienamente le attese, al contempo alimentare il rimpianto di non aver mai visto on stage i Faith no More.

Il palco subito dopo la performance si presenta privo di qualsiasi strumentazione, un telo nero ne copre giusto il fondo mentre luci a giorno evidenziano numerosi buchi in platea. Siamo lontani dal sold out anche se, a occhio e croce, cinque/seimila persone paiono esserci.

Quello che non ti aspetti avviene pochi minuti dopo, quando a comparire – in piena luce – è lo stesso Trent Reznor, il quale guadagnando il centro del palco comincia ad armeggiare con una piccola consolle generando un suono composito e graduale. Pubblico ovviamente in visibilio, il groove progressivo di Copy of A accompagna il work in progress di una scenografia letteralmente da costruire.

È quello che succede in Stop Making Sense, avete presente? I Talking Heads entrano in rapida successione sul palco disadorno componendo gradualmente la scena. Cambiano tempi, modalità ma la situazione è … medesima e quando le luci finalmente lasciano spazio all’oscurità … lo spettacolo pare realmente iniziare.

La band dopo l’ouverture entusiasmante “si eleva”, rimanendo tuttavia “gelidamente allineata e perpendicolare” agli spettatori.

È quello che succede in Minimum Maximum, avete presente? I Kraftwerk – a fronte del pubblico – paiono macchine esteticamente concepite per rinnegare anima e cuore. Idem come sopra! Cambiano tempi, modalità ma la situazione è … medesima e quando compaiono sul fondo i pannelli luminosi … la scenografia, virata nei toni lugubri di un fantasmagorico gioco di ombre, pare andare a regime.

Inoltrarsi nella scaletta non lascia indifferenti: ventiquattro/venticinque canzoni, alcune delle quali sconvolgono, altre entusiasmano, certune invece, mantengono vivo – come è lecito che sia –  il rimpianto di ciò che non si è ascoltato (Reptile); ad ogni modo … Niente è lasciato al caso.

Reznor – nella sua più che ventennale carriera – ha sondato l’insondabile, colmato l’incolmabile e ora ritorna con un nuovo disco e un tour che lo riporta – a quanto pare – ai fasti di un tempo.

In effetti, la voce mostrata in serata è direttamente proporzionale alla forma fisica debordante: salta, urla, si lancia, si piega … al punto che nemmeno l’ombra pare riuscire a contenerne il passo. La Band “suona preciso” ma è chiaro che è lui – e soltanto lui – a fare la differenza.

A luci nuovamente accese, sorprende piacevolmente scorgere i volti unanimemente soddisfatti di un pubblico oscillante “tra i venti e i cinquanta”.

Guadagnare a quel punto l’uscita, significa ricongiungersi … con la propria ombra! Non prima di aver acquistato la T-shirt della serata. Perché concerti come questi, oltrechè stampati nella mente e nel cuore, occorre portarseli addosso.

 

9 canzoni 9 … alla ricerca dell’ ombra perduta

Lato A

Warszawa • David Bowie

Das Model • Kraftwerk

Me! I Disconnect From You • Gary Numan

Sex Dwarf • Soft Cell

Lato B

Copy of A • Nine Inch Nails

IPC • Light Asylum

Hot Ride • Prodigy ft Juliette Lewis

Eisbar • Grauzone

#TNG • The Next Generetors