Servono 7 km di ferrovia per collegare Lugano all’aeroporto di Malpensa con un viaggio di appena 50 minuti. Un collegamento di cui si parla da vent’anni, strategico non solo per lo scalo milanese ma anche – ripetono gli amministratori locali – in funzione di Expo 2015. I lavori, previsti dalla Legge obiettivo del 2001, sono stati approvati dal Cipe nel 2008 e il 24 luglio del 2009 – alla presenza dell’allora viceministro Roberto Castelli, Mauro Moretti (ad Ferrovie Stato) e Roberto Formigoni (allora governatore Lombardia) – si è dato il via al cantiere, con la promessa di completare l’opera entro dicembre di quest’anno per la sua entrata in funzione nel 2014.
Da allora i lavori sono stati portati avanti su due fronti, quello Italiano da un lato e quello svizzero dall’altro. Risultato: oggi sul lato elvetico il cantiere è tutto un brulicare di operai e mezzi meccanici, i binari sono stati posati e alcune parti collaterali come sottopassi e marciapiedi sono già state consegnate. Ma se sui 6 km di cantiere svizzero non si è perso un minuto, sul fronte italiano lo scenario è l’esatto opposto. Lungo i tre chilometri e mezzo di nuova ferrovia ci sono due gallerie. E sono proprio queste uno dei noccioli del problema. A lavori iniziati si è scoperto che le terre e le rocce frutto dello scavo sono naturalmente cariche di arsenico. Un imprevisto (secondo i più ampiamente prevedibile) che ha messo l’impresa Salini (titolare dell’appalto) di fronte al problema dello stoccaggio e dello smaltimento di del materiale di scavo. Una grana a cui non si trova una soluzione e che ha portato ad un primo blocco dei lavori nel 2011 e ad un secondo blocco dal giugno di quest’anno. Stando a quanto lamenta l’impresa il cantiere va a singhiozzo anche per il ritardato pagamento degli stati di avanzamento lavori. Così, con buona pace di chi voleva fare bella figura con la Confederazione, da alcuni mesi il cantiere è fermo e tra un’interruzione e un rallentamento è stato accumulato un ritardo stimato in almeno un anno e mezzo, senza alcuna certezza sulla data in cui i lavori potranno riprendere.
L’ex assessore regionale alle infrastrutture, Raffaele Cattaneo, aveva puntato molto su questo intervento, tanto da spingersi, nel recente passato, in dichiarazioni che lette oggi suonano quanto meno improvvide: “Qualcuno aveva già detto che questo cantiere è l’esempio di un’italietta che non funziona mai, siamo lieti in Lombardia una volta di più, di dimostrare che le cose le sappiamo far funzionare e che qui non c’è l’italietta ma c’è l’Italia che lavora, che è orgogliosa dei suoi risultati e che produce fatti concreti. Il cantiere è previsto che si chiuda a dicembre 2013 e al momento non c’è motivo di credere che così non debba essere”. Un’affermazione ripresa anche da “Falò”, programma di approfondimento giornalistico della televisione svizzera italiana, che il 22 agosto scorso ha dedicato un ampio servizio alla questione, mettendo in luce i timori svizzeri sul mancato rispetto dei tempi di consegna del cantiere sul versante italiano.
I ritardi italiani non solo stanno facendo perdere al Canton Ticino il treno per Malpensa, ma ogni giorno allontanano Lugano dall’Expo di Milano. E gli Svizzeri dal canto loro guardano con preoccupazione alla situazione italiana, cercando di far sentire la loro voce. Nel giugno scorso, l’indomani della notizia dell’ennesimo blocco del cantiere, la consigliera federale Doris Leuthard (a capo del dipartimento dei trasporti) ha preso l’impegno di portare la questione a Roma, mentre un mese più tardi il consigliere di stato Michele Barra ha incontrato il suo omologo in Regione Lombardia, Maurizio del Tenno, per ribadire “la volontà di sfruttare appieno le potenzialità della ferrovia e di condurre in porto l’opera al più presto possibile”. In quell’occasione dal Pirellone è arrivata la promessa di una ripresa del cantiere a settembre. Ma al momento, tra promesse disattese, cittadini infuriati, polemiche, contenziosi e ambientalisti preoccupati, l’Italia sta nuovamente facendo la figura dell’italietta.
Cronaca
Sette km di ferrovia per collegare Lugano e Malpensa. Svizzeri pronti, italiani fermi
Il tratto tra Arcisate (Italia) e Stabio (Svizzera) è strategico per i collegamenti internazionali. Gli elvetici hanno quasi terminato l'opera, mentre sul versante italiano è scattato lo stop per problemi economici e progettuali. Politici e media svizzeri preoccupati per il mancato rispetto dei tempi. L'ex assessore lombardo del Pdl disse: "Dimostreremo che non siamo l'italietta, tempi certi"
Servono 7 km di ferrovia per collegare Lugano all’aeroporto di Malpensa con un viaggio di appena 50 minuti. Un collegamento di cui si parla da vent’anni, strategico non solo per lo scalo milanese ma anche – ripetono gli amministratori locali – in funzione di Expo 2015. I lavori, previsti dalla Legge obiettivo del 2001, sono stati approvati dal Cipe nel 2008 e il 24 luglio del 2009 – alla presenza dell’allora viceministro Roberto Castelli, Mauro Moretti (ad Ferrovie Stato) e Roberto Formigoni (allora governatore Lombardia) – si è dato il via al cantiere, con la promessa di completare l’opera entro dicembre di quest’anno per la sua entrata in funzione nel 2014.
Da allora i lavori sono stati portati avanti su due fronti, quello Italiano da un lato e quello svizzero dall’altro. Risultato: oggi sul lato elvetico il cantiere è tutto un brulicare di operai e mezzi meccanici, i binari sono stati posati e alcune parti collaterali come sottopassi e marciapiedi sono già state consegnate. Ma se sui 6 km di cantiere svizzero non si è perso un minuto, sul fronte italiano lo scenario è l’esatto opposto. Lungo i tre chilometri e mezzo di nuova ferrovia ci sono due gallerie. E sono proprio queste uno dei noccioli del problema. A lavori iniziati si è scoperto che le terre e le rocce frutto dello scavo sono naturalmente cariche di arsenico. Un imprevisto (secondo i più ampiamente prevedibile) che ha messo l’impresa Salini (titolare dell’appalto) di fronte al problema dello stoccaggio e dello smaltimento di del materiale di scavo. Una grana a cui non si trova una soluzione e che ha portato ad un primo blocco dei lavori nel 2011 e ad un secondo blocco dal giugno di quest’anno. Stando a quanto lamenta l’impresa il cantiere va a singhiozzo anche per il ritardato pagamento degli stati di avanzamento lavori. Così, con buona pace di chi voleva fare bella figura con la Confederazione, da alcuni mesi il cantiere è fermo e tra un’interruzione e un rallentamento è stato accumulato un ritardo stimato in almeno un anno e mezzo, senza alcuna certezza sulla data in cui i lavori potranno riprendere.
L’ex assessore regionale alle infrastrutture, Raffaele Cattaneo, aveva puntato molto su questo intervento, tanto da spingersi, nel recente passato, in dichiarazioni che lette oggi suonano quanto meno improvvide: “Qualcuno aveva già detto che questo cantiere è l’esempio di un’italietta che non funziona mai, siamo lieti in Lombardia una volta di più, di dimostrare che le cose le sappiamo far funzionare e che qui non c’è l’italietta ma c’è l’Italia che lavora, che è orgogliosa dei suoi risultati e che produce fatti concreti. Il cantiere è previsto che si chiuda a dicembre 2013 e al momento non c’è motivo di credere che così non debba essere”. Un’affermazione ripresa anche da “Falò”, programma di approfondimento giornalistico della televisione svizzera italiana, che il 22 agosto scorso ha dedicato un ampio servizio alla questione, mettendo in luce i timori svizzeri sul mancato rispetto dei tempi di consegna del cantiere sul versante italiano.
I ritardi italiani non solo stanno facendo perdere al Canton Ticino il treno per Malpensa, ma ogni giorno allontanano Lugano dall’Expo di Milano. E gli Svizzeri dal canto loro guardano con preoccupazione alla situazione italiana, cercando di far sentire la loro voce. Nel giugno scorso, l’indomani della notizia dell’ennesimo blocco del cantiere, la consigliera federale Doris Leuthard (a capo del dipartimento dei trasporti) ha preso l’impegno di portare la questione a Roma, mentre un mese più tardi il consigliere di stato Michele Barra ha incontrato il suo omologo in Regione Lombardia, Maurizio del Tenno, per ribadire “la volontà di sfruttare appieno le potenzialità della ferrovia e di condurre in porto l’opera al più presto possibile”. In quell’occasione dal Pirellone è arrivata la promessa di una ripresa del cantiere a settembre. Ma al momento, tra promesse disattese, cittadini infuriati, polemiche, contenziosi e ambientalisti preoccupati, l’Italia sta nuovamente facendo la figura dell’italietta.
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Ucraina, summit a Parigi: Meloni frena sull’invio di truppe. E Scholz: “Sbagliato parlare di militari Ue sul terreno”. Starmer: “Per la pace vitali le garanzie Usa”
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La Paz, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - Almeno 30 persone sono morte a causa di un incidente che ha coinvolto un autobus passeggeri, precipitato in un burrone profondo 800 metri nella città di Yocalla, nel sud della Bolivia. Lo ha riferito la polizia locale.
Tel Aviv, 17 feb. (Adnkronos) - Secondo quanto riportato dall'emittente statale israeliana Kan, citando diverse fonti, il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, non fa più parte del team incaricato delle trattative per la liberazione degli ostaggi. Fonti a conoscenza dei dettagli affermano che Bar potrebbe unirsi a una delegazione in futuro se si svolgeranno i negoziati sulla fase due.
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Beirut, 17 feb. (Adnkronos) - Il governo libanese ha annunciato di aver approvato una risoluzione secondo cui soltanto lo Stato potrà possedere armi. La risoluzione chiede di fatto il disarmo di Hezbollah e include l'impegno a rispettare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Ha ribadito le perplessità sul formato del vertice di Parigi, sull'invio di truppe europee in Ucraina e la necessità di percorrere strade che prevedano il coinvolgimento degli Stati Uniti. Queste le linee, a quanto si apprende, dell'intervento della premier Giorgia Meloni oggi al summit a Parigi convocato da Emmanuel Macron alla presenza del britannico Keir Starmer, del premier olandese, Dick Schoof, del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del capo del governo polacco Donald Tusk e del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. All'Eliseo anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte e i vertici Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen.
Meloni, a quanto si apprende, ha sottolineato di aver voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia, ma di avere espresso le sue perplessità riguardo un formato che, a suo giudizio, esclude molti Paesi, a partire da quelle più esposti al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare in una fase storica come questa. Anche perché, avrebbe rimarcato la premier, la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti.
Per l'Italia le questioni centrali rimangono le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, perché senza queste ogni negoziato rischia di fallire. Quindi Meloni avrebbe rimarcato l'utilità di un confronto tra le varie ipotesi in campo, osservando come quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appaia come la più complessa e forse la meno efficace. Una strada su cui l'Italia avrebbe mostrato le sue perplessità al tavolo.
Secondo Meloni, a quanto viene riferito, andrebbero esplorate altre strade che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana. La premier avrebbe definito una sferzata sul ruolo dell'Europa quella lanciata dall'amministrazione Usa ma ricordando che prima di questa analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee. È una sfida, avrebbe quindi sottolineato, per essere più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a 360 gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo.
Secondo la presidente del Consiglio sono i cittadini europei a chiederlo: non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi.
Meloni avrebbe quindi rimarcato come il formato del summit all'Eliseo non vada considerato come un formato anti-Trump. Tutt’altro. Gli Stati Uniti lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte, la sollecitazione della premier italiana. Meloni infine, sempre a quanto si apprende, avrebbe manifestato condivisione per il senso della parole del Vice Presidente degli Stati Uniti Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.
Parigi, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - "La Russia minaccia tutta l'Europa". Lo ha detto la premier danese Mette Frederiksen dopo i colloqui di emergenza a Parigi sul cambiamento di politica degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina riguarda i "sogni imperialisti di Mosca, di costruire una Russia più forte e più grande, e non credo che si fermeranno in Ucraina", ha detto ai giornalisti, mettendo in guardia gli Stati Uniti dai tentativi di concordare un cessate il fuoco "rapido" che darebbe alla Russia la possibilità di "mobilitarsi di nuovo, attaccare l'Ucraina o un altro paese in Europa".
Parigi, 17 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Parigi abbiamo ribadito che l'Ucraina merita la pace attraverso la forza. Una pace rispettosa della sua indipendenza, sovranità, integrità territoriale, con forti garanzie di sicurezza. L'Europa si fa carico della sua intera quota di assistenza militare all'Ucraina. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un rafforzamento della difesa in Europa". Lo ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.