Sono orgoglioso di essere stato uno dei protagonisti, anche se con molte contraddizioni politiche e tanti errori tattici e strategici, della rottura finiana con Berlusconi. Se non fosse stato così, se non avessi fatto quella scelta in nome di un’altra politica e di un’altra Italia, oggi che il conflitto d’interessi del condannato di Arcore è sotto gli occhi di tutti, oggi che appare evidente come il suo unico scopo sia stato e sia ancora solo e soltanto la sua personalissima salvezza giudiziaria, non potrei guardarmi allo specchio.
E dico di più, utilizzando le parole della compagna d’avventure Flavia Perina: sono orgoglioso di aver contrastato le ronde, di non aver accettato l’idea che Ruby fosse la nipote di Mubarak, di aver combattuto contro le numerose versioni del Lodo Alfano. E sono orgoglioso, aggiungo io, di non aver urlato al papà di Eluana “assassino”. E di non essere stato complice di chi lo ha fatto.
Già sento i critici. Potevate pensarci prima. Potevate fare di più. Potevate commettere meno errori. Avevate ragione ma avete perso. Montanelli, da destra, lo aveva detto olto prima di voi. E così via… Tutte cose vere e sacrosante, contraddizioni ed errori non sono mancati. Ma rimane il fatto che quel gruppo di persone, così eterogeneo, con storie e percorsi diversi, talvolta distanti, a un certo punto ha scelto di ribellarsi. E lo ha fatto quando non sembrava ci si potesse ribellare. Quando il cosiddetto “berlusconismo” mostrava il suo volto trionfante. E lo ha fatto senza pensare al proprio interesse, senza pensare che ci si potesse guadagnare qualcosa. Lo ha fatto per senso di giustizia o, magari, per semplice insofferenza. Lo ha fatto mettendoci la faccia e rischiando tutto. Lo ha fatto con la consapevolezza che si potesse perdere. E così è stato. Ma non è detto che la sconfitta sia sempre ignominiosa. Anzi. Sono convinto che alla fine dei conti, magari fra qualche anno, chi ha perso sarà considerato il vero vincitore, di certo il vincitore morale.
Anzi, forse questo momento arriverà anche prima del previsto. Perché ormai il berlusconismo non ha davvero più niente di politico, non ha più paraventi. E non ha più nessun contenuto, perché ormai ogni azione di Silvio e dei suoi fedelissimi è tutta incentrata sulla sorte del leader: niente di più, niente di diverso. Non c’è più nemmeno il bisogno di nasconderlo, quell’enorme “conflitto di interessi” che trasforma il centrodestra italiano nel fortino di un uomo, della sua famiglia, delle sue aziende.
Ecco, osservando quel che è successo negli anni precedenti sono sempre più convinto che la rottura finiana fosse l’unica scelta possibile per chi, da destra, non voleva più condividere una storia politica con chi ogni giorno bestemmiava il bene comune, con chi ogni giorno lavorava contro ognuno di quei valori che da destra si sono per anni professati come “assoluti”: la patria, l’Italia, la legalità, il rispetto delle istituzioni, il decoro. Era quella l’unica scelta possibile, nonostante la sconfitta. Ma con quella sconfitta, un seme è stato gettato. E prima o poi, vedrete, qualcosa crescerà.