Antonio porta il cognome degli esposti (orfani) di Napoli. Esposito lui e altre 30 pagine dell’elenco telefonico del capoluogo partenopeo. Omen nomen. Antonio è anche abbandonato dal suo mare: eravamo un Paese di santi, poeti e navigatori e adesso lui per pescare è costretto a emigrare 6 mesi l’anno. In fuga dal mar Mediterraneo.
Ho conosciuto Antonio a Pantelleria. Aveva i capelli e il volto bruciati dal sale e lo sguardo che cercava un punto fermo. “Ho mal di terra”, mi confessa, “ la testa mi ondeggia come fossi ancora in alto mare, il cuore non mi dà tregua. Batte all’impazzata”. Antonio voleva parlare e io ho prestato l’orecchio e il libro “Tennis” di John McPhee che stavo leggendo come taccuino. “Anche io come un tennista lotto contro la rete. La mia è da pesca e devo stare attento a come calarla per prendere più pesci”.
Sei mesi in Canada. “Le acque di fronte l’isola di Terranova sono le più pescose al mondo. Quando tocchiamo terra ci aspettano i giapponesi con i dollari in una mano e un carotatore nell’altra. Lo inseriscono nel dorso del pesce, lo controllano e stabiliscono il prezzo. A noi va sempre bene. Per un pesce spada di medie dimensioni negli Stati Uniti il valore è di 16$ al kg, in Europa 18, i giapponesi comprano a 70! Il loro è il mare più inquinato del mondo. Dopo il disastro di Fukushima l’oceano Pacifico è contaminato di mercurio. Sono obbligati a fare il mercato. Il pesce è alla base della loro cultura alimentare”.
Il sudore di un pescatore. “Una volta sul posto caliamo la boa e da lì fissiamo 50 miglia nautiche di reti mobili, che seguono la corrente. Queste catturano tutti i pesci pelagici che si trovano fino a 3 metri di profondità: tonni, pesci spada, sardine e sgombri sono spacciati. Facciamo 4 calate la settimana per 3 mesi di fila. Congeliamo il pesce a bordo e poi lo vendiamo a terra. In Italia portiamo solo i trofei e tanti soldi. In 5 mesi di pesca intensiva un armatore può arrivare a guadagnare fino a 500 mila euro. A lui va il 40% del ricavato a capitano, nostromo e noi marinai il resto. Ecco perché siamo diventati predatori. Più peschiamo più guadagniamo. E’ la dura legge di noi lupi di mare”.
Gli agnelli di mare. Nel mar Mediterraneo il numero di tonni e pesci spada è calato negli ultimi anni del 97%, i banchi di pesce azzurro non esistono più. Entro il 2048 secondo una catastrofica profezia del biologo marino Boris Worn il pesce (negli oceani) sarà estinto. Antonio, ti senti in colpa? “Io sono un ingranaggio, faccio quello che posso. Quando nelle nostre reti rimane intrappolato uno squalo io e i miei compagni lo liberiamo e lo rigettiamo in oceano. Lo squalo è in cima alla catena alimentare, ucciderlo equivarrebbe a interromperla con danni a moltissime specie marine e non. Se il mare muore è colpa del sistema.
Dal 1992 l’Unione europea vieta l’uso delle reti derivanti ma noi ce ne freghiamo. L’importo della multa è irrisorio rispetto al bottino di mare. Conviene rischiare. Eppure così facendo abbiamo ridotto il nostro mare a un deserto tant’è che ormai in Italia si pratica solo la pesca artigianale, si vende solo ai ristoranti. Si raccolgono piccole quantità e di dimensioni modeste. L’uscita in mare non vale l’investimento. Come credi che un armatore possa sostenere il costo del carburante e gli ingaggi dei marinai? Ecco perché abbandoniamo il mar Mediterraneo, ecco perché fuggiamo”.