Un esteso sversamento di petrolio nel Mediterraneo occidentale, lungo circa 43 km, minaccia la costa nordoccidentale della Corsica, e in particolare la riserva naturale di Scandola, un’area protetta costiera e marina di elevato valore ambientale, classificato dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Qualora la chiazza oleosa dovesse arrivare sulla costa, una porzione preziosa e già fortemente minacciata del nostro bistrattato Mediterraneo verrebbe contaminata; la sua biodiversità, difesa con le unghie e coi denti contro una molteplicità di minacce dagli eroici custodi dell’area protetta, potenzialmente decimata.

Non ci sono molti dubbi sulla causa dello sversamento, un atto illegale compiuto da una nave al largo, vuoi per accidente, vuoi deliberato; per esempio per lavare le cisterne. Quasi sicuramente il colpevole la farà franca; quando si opera lontano dalla costa i controlli sono difficili. La chiazza di questi giorni può così andare ad aggiungersi agli oltre 500 simili incidenti riportati in Mediterraneo dalla fine degli anni ’70 a questa parte – oltre 300.000 tonnellate di greggio immesse in un ambiente marino delicato e già fortemente indebolito da mille altre minacce.

In questo caso non si tratta di evento catastrofico, ma rutinario – ancorché illegale. Ed è dalla routine, più che dalle catastrofi, che arriva gran parte del petrolio nei nostri mari. Del petrolio, poi, sappiamo di più che di altre sostanze tossiche, perché il petrolio ha il vizio di galleggiare. Tutto il resto affonda, lontano dagli occhi come dal cuore.

Molto si potrebbe fare, sia per prevenire che per punire, ma poco si fa perché costa. Eppure basterebbe una percentuale infinitesima del valore del petrolio trasportato per rafforzare i controlli e finanziare le necessarie tecnologie.

Ancora una volta i costi ambientali delle umane attività vengono artatamente esclusi dalle equazioni dell’economia tradizionale. Tanto, il conto quando ci verrà presentato lo pagheranno i nostri figli.

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