Castriamo le parole. Così la provocazione agisce fino all’ultimo respiro, penetrando “sotto pelle” e seguendo la traccia di un perfetto quanto fatale cerchio alla Moebius. A quattro giorni dalla chiusura, Venezia 70 celebra i provocatori maximi e lo fa fuori concorso con il Leone d’oro 2012, il sudcoreano Kim Ki-duk con Moebius e in concorso con Under the Skin del londinese Jonathan Glazer, che mette in scena un’alienata Scarlett Johansson, eccezionalmente bruna. Diversamente votati all’effetto choc, Ki-duk e Glazer utilizzano il dispositivo della sottrazione dei dialoghi, delegando alle immagini la totalità della forza espressiva come il cinema ab origine, appunto muto.
Con Moebius Ki-duk cancella addirittura ogni parola: i membri della famiglia protagonista (madre, padre e figliolo) non pronunciano verbo, limitandosi a colpi di lame “eviratrici”, nonché strumento di piacere sanguigno. Piacere e dolore, dolore e piacere. Così funziona il genuino sado-masochismo di uno dei più controversi autori del cinema sudcoreano contemporaneo, che dopo anni di isolamento depressivo e relativa sterilità artistica, era tornato al Lido lo scorso anno trionfando in oro con Pietà. L’approccio a Moebius non può né deve essere simbolico: il suo senso è tutto sbattuto in faccia dello spettatore, disposto a farsi scuotere da incesti, genitali maschili tagliati (e buttati in strada alla mercé del traffico…) e poi trapiantati di padre-in-figlio, coltelli che penetrano le spalle o raschiano mani e piedi con l’unico scopo di provocare il piacere “ultimo”. Siamo nel territorio dell’estremo in ogni senso, della gelosia attorcigliata su se stessa, della sovrapposizione di ruoli famigliari, del disturbo visivo che mette alla prova. Perché oggi Ki-duk si sente liberato da certe sue geometrie estetiche a favore del Caos erotico, anti-edipico e inevitabilmente divertente. Che – udite udite – uscirà anche nelle sale italiane dopo aver aperto (il 5/9) il Florence Korea Film Fest, appunto a Firenze.
E’ invece geometrico, il cupo e fantascientifico Under the Skin, un “car movie” ambientato in Scozia che contrappone l’aliena (letteralmente) Johansson al degrado umano e civile della società britannica odierna. Scarlett assume la pelle di un cadavere femminile ancora “caldo” per aggirarsi tra Glasgow, le Highlands e la foresta alla ricerca di un senso delle cose. E lo fa provocando alcuni dei personaggi maschili incontrati, attirandoli nella tela del Fascino dentro a una matrice di sesso e nudità. Colpisce che uno di loro sia un freak macrocefalo, spogliato di tutto, inclusa la comprensione del suo agire. Il film è visivamente notevole, glaciale nello stile a denuncia di un distacco tra la protagonista e il suo contesto. La “mutante” Scarlett – ridotta ad antidiva robotica – ha sinceramente espresso le sue “paure nella reazione del pubblico”, forse consapevole di incarnare un personaggio assai diverso da quelli finora frequentati. Under the Skin potrebbe ambire a un premio, foss’altro per originalità di sguardo e sicurezza di stile.