Che l’utilizzo dei fondi europei in Italia sia un tasto dolente non è di certo una novità. Ma questa volta, e mai in modo così chiaro, Bruxelles ha davvero messo davvero il dito nella piaga: la politica italiana deve stare lontana dall’utilizzo di questi finanziamenti. Questo è il succo di un rapporto redatto dalla direzione generale Affari regionali della Commissione europea secondo la quale il corto circuito tra “alti dirigenti amministrativi” e “politici” è all’origine del cattivo uso di quanto l’Unione europea mette a disposizione dell’Italia.

“Questo legame finisce spesso per orientarsi verso interessi di parte, col risultato di uno scarso impatto sullo sviluppo del territorio”. Non potevano essere più chiari i tecnici della DG Regio della Commissione, che individuano e mettono nero su bianco i punti deboli dell’amministrazione italiana dei soldi europei: “elevata influenza della politica nella fase di gestione e attuazione degli aiuti”, “distorsioni nei comportamenti e nelle scelte amministrative”, “poca trasparenza che consente di mascherare inefficienza e discrezionalità”, “cattiva organizzazione degli uffici”, “mancanza di vera responsabilità di performance” ed “eccessiva preoccupazione per gli aspetti amministrativi-giuridici che portano a bandi e procedure confuse e piene di formalismi inutili“. Insomma, chi più ne ha più ne metta.

Una situazione ancora più grave nel Mezzogiorno d’Italia. Secondo la Commissione, l’ingerenza della politica è causa di “interessi di parte”, un modo elegante per dire che i soldi europei finiscono nelle mani di poche persone. Ecco allora che i miliardi di lire prima del 2001 e di euro successivi a questa data arrivati nelle regioni del meridione d’Italia (in passato catalogate come ad “Obiettivo 1”, ovvero dove i soldi europei miravano a promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo) sono andati sostanzialmente sprecati, o meglio finiti ad alimentare “interessi di parte”. Ecco allora che mentre la differenza economica tra Germania dell’Est e dell’Ovest è andata nel tempo diminuendo grazie ai fondi Ue stanziati alle regioni più povere, in Italia non è cambiato un bel nulla.

La soluzione? Con un pizzico di ottimismo tecnico tutto nordeuropeo, la Commissione propone di “individuare l’ufficio responsabile” ed i suoi “poteri effettivi sugli altri”, “obbligare le amministrazioni titolari di programmi operativi a presentare una strategia di miglioramento amministrativo” e a “fissare standard di qualità connessi alla tempistica”, nonché prevedere “l’intervento sistematico di task force in caso di particolari ritardi”, e “favorire un controllo pubblico sui risultati degli interventi”. Imbeccata già seguita dall’Italia, che a fine agosto ha annunciato la nascita della nuova Agenzia per la coesione territoriale, la quale sarà chiamata a coordinare la gestione dei nuovi fondi Ue in arrivo per il ciclo 2014-2020 (29,38 miliardi). È evidente il paradosso: alla troppa ingerenza politica nella gestione dei fondi europei viene data una risposta tutta politica.

Intanto i quasi 30 miliardi di euro di finanziamenti destinati all’Italia per i prossimi sette anni fanno gola. Pessimi i precedenti degli scorsi cicli settennali, con 16,7 miliardi non utilizzati nel periodo 2007-2013 e da spendere entro il 2015 (eventualità piuttosto difficile anche perché i fondi europei funzionano spesso in cofinanziamento, ovvero se lo Stato membro non mette la sua parte i soldi europei non si possono toccare).

“L’Italia deve focalizzarsi su poche e chiare priorità per la programmazione dei fondi strutturali del budget”, ha detto nelle settimane scorse il commissario Ue alle Politiche regionali, l’austriaco Johannes Hahn, in attesa dell’accordo di partenariato per l’utilizzo dei fondi stipulato dall’Italia. Dieci gli obiettivi dell’intesa: rafforzare la ricerca, migliorare l’accesso alle tecnologie dell’informazione, favorire la competitività dei sistemi produttivi, sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni, promuovere l’adattamento ai cambiamenti climatici, tutelare l’ambiente, promuovere sistemi di trasporto sostenibili, l’occupazione, l’inclusione sociale e investire nell’istruzione. Obiettivi ambiziosi che, se raggiunti anche solo in parte, darebbero una boccata d’ossigeno a quello che l’Ocse ha definito “l’unico Paese avanzato ancora in recessione”.

@AlessioPisano

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