Se il Congresso Usa voterà contro l’intervento in Siria, la Francia non interverrà da sola. Il presidente della Repubblica, François Hollande, tra gli interventisti della prima ora, guarda alle decisioni di Washington anche se chiede unità all’Europa. Di fronte alle “prove” di un “massacro chimico” la comunità internazionale ha la responsabilità di intervenire afferma nel corso di una conferenza stampa con il presidente tedesco, Joachim Gauck. “Quando avviene un massacro chimico quando il mondo ne è informato, quando le prove sono fornite ed i responsabili noti, allora ci deve essere una risposta”.
Sono trascorsi dieci anni dall’invasione dell’Iraq. E allora fu una Francia governata dalla destra a opporsi all’intervento: memorabile il discorso, nel febbraio di quell’anno, del ministro degli Esteri Dominique de Villepin, contro l’attacco a Saddam, diventato riferimento (inaspettato) per tanti pacifisti nel mondo intero. Oggi la situazione è ribaltata, da tutti i punti di vista. Al potere c’è la sinistra con un presidente socialista. E Parigi era in testa a livello internazionale per spingere verso un attacco militare contro Assad. Anzi, dopo il dietrofront di Londra e le nuove esitazioni di Obama, i francesi rischiavano di restare da soli in questa loro campagna a favore della lezione da impartire a Damasco.
D’altra parte però c’è la stessa opinione pubblica di sinistra in Francia ad appoggiare Hollande in quella che era (e forse è ancora) la sua volontà a intervenire. Un sondaggio condotto nei giorni scorsi dall’istituto Csa, uno dei più affidabili, indica che complessivamente solo il 45% dei francesi è favorevole a un intervento in Siria. Ma all’interno del bacino degli elettori della sinistra la percentuale sale al 55%. E per i socialisti addirittura al 62%. Pochi mesi fa, quando ancora la Francia di Hollande aveva deciso (e sola, quella volta) di intervenire nel Mali contro i jihadisti, i francesi avevano accettato senza fiatare. E nel 2011, quando era stato Nicolas Sarkozy a diventare uno dei protagonisti dell’attacco militare alla Libia, la sinistra, sia a livello dei partiti che dell’opinione pubblica, sia era accodata, approvando l’intervento.
Ma perché questa volontà “guerrafondaia” della gauche? Diversi osservatori politici sottolineano innanzitutto in questi giorni a Parigi alcuni fattori contingenti. Laurent Fabius, ministro degli Esteri, è un atlantista della prima ora: fin dagli anni Ottanta, quando iniziò a imporsi come uno dei ras del Partito socialista, è stato un pro Stati Uniti e più vicino alle esigenze israeliane che a quelle arabe, anche in polemica con diversi compagni di partito. La sua influenza su un Hollande a tratti incerto sulla scena internazionale è forte, tanto più che pure il buon rapporto del presidente attuale con quello americano ha una propria influenza. Ma esistono anche fattori strutturali. Tanti maitres à penser della gauche francese, dagli anni Novanta in poi, si sono battuti per interventi militari in difesa dei diritti umani, come nel caso della Siria, dove l’azione militare sarebbe giustificata dall’utilizzo da parte di Assad di armi chimiche contro la popolazione civile. Primo fra tutti il filosofo Bernard-Henri Lévy, che ha appena pubblicato un suo editoriale sul quotidiano Le Monde, accettando che a dare il via libera a un eventuale intervento militare sia il voto del Parlamento. Ma continuando a perorare la causa dell’attacco, da effettuare il prima possibile.
Sì, perché ora Oltralpe la polemica è tutta concentrata su quello: voto sì’ o voto no in Parlamento? A differenza di quanto avvenuto nel Regno Unito (dove proprio quel voto ha fermato Cameron nella corsa a partecipare all’intervento) e negli Stati Uniti (dove un dibattito parlamentare con voto annesso è ormai previsto a breve), in Francia il presidente, secondo la Costituzione, può decidere autonomamente la partecipazione a un intervento di questo tipo. Deve solo informarne il Parlamento. E proprio mercoledì è previsto un dibattito all’Assemblea nazionale, ma senza un voto finale. Questo, in realtà, è ora chiesto da alcuni deputati socialisti ma soprattutto della destra, come François Fillon, dell’Ump, il grande partito di centro-destra: “La Francia non può partire in guerra senza un sostegno chiaro del Parlamento”, ha detto l’ex premier, ai tempi di Sarkozy. Proprio martedì mattina Alain Vidalis, ministro responsabile dei rapporti con il Parlamento, ha ammesso che Hollande “non esclude il voto”. Ma la polemica appare più formale che sostanziale, dato che la stragrande maggioranza dei deputati dell’Ump appoggia comunque la volontà a intervenire in Siria. Come tutti (o quasi) i socialisti: “La nostra internazionalizzazione e il nostro umanesimo non possono ammettere l’indifferenza di fronte a un crimine contro l’umanità”, ha sottolineato David Assouline, portavoce del Partito socialista. Per ora a schierarsi contro l’intervento ci sono solo il Front national di Marine Le Pen e una formazione di estrema sinistra, il Front de gauche (ma non i comunisti, loro alleati, che chiedono il voto ma sono quasi tutti d’accordo con Hollande). Tutti per la guerra o quasi, gauche in testa.
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