Andiamo con ordine. La decadenza non priverebbe B. della “agibilità politica” (il creativo di Publitalia che ha partorito questo jingle meriterebbe un aumento di stipendio). Il presidente del Consiglio, i ministri e il presidente della Repubblica possono essere non parlamentari. Nessuna norma costituzionale prevede che debbano essere parlamentari; e non lo era infatti Ciampi, presidente del Consiglio nel 1993/1994; né i numerosi ministri di questo e del precedente governo.
Neppure la guida del partito di cui è proprietario gli sarebbe preclusa. Prima di tutto perché ne è proprietario. E poi perché non esiste alcuna legittimazione formale senza la quale taluno non possa proporsi come leader politico. Grillo e Casaleggio ne sono la prova quotidiana. D’altra parte B. in Senato non ci va e le sue creature le dirige da casa.
Se il Senato prendesse atto della condanna di B. e, in applicazione della legge Severino, lo scacciasse, sarebbe una manifestazione di forza e non di debolezza. Non è la magistratura che impone a B. di non entrare a Palazzo Madama; è una legge voluta e votata dal Parlamento. Che sarebbe davvero debole se non fosse in grado di applicare le sue stesse leggi. L’escamotage di ricorrere alla Corte costituzionale nella speranza che impedisca al Parlamento di applicare una legge votata pressoché all’unanimità pochi mesi fa, è il più evidente sintomo di questa debolezza. Tanto più evidente in quanto contrapposta alla “forza” (intesa come dirittura morale e coscienza del proprio dovere) di una magistratura che certo non ignorava la portata dirompente di una sentenza tuttavia dovuta perché conforme alla legge. Un Parlamento geloso delle sue prerogative mai dovrebbe accettare di essere posto sotto tutela, sia pure dalla Consulta.
Allora perché il polverone? Ma è ovvio. Il giorno dopo la decadenza, B. si sveglierà nudo di fronte alla legge. L’articolo 68 della Costituzione non lo riguarderà più. B. non potrà più beneficiare del favoreggiamento istituzionalizzato di un Parlamento che rifiuta costantemente di autorizzare perquisizioni, intercettazioni, arresti, insomma tutto l’armamentario che serve per perseguire qualsiasi delinquente. E quando un qualsiasi mafioso gli telefonerà, se la conversazione dovesse essere “interessante”, non sarà necessaria la solita vergognosa manfrina parlamentare per utilizzarla. A questo punto gli resterebbe solo l’ultima, ben conosciuta, possibilità: la corruzione; o l’estorsione, visto che, non più senatore dunque non più pubblico ufficiale, la concussione e le sue varianti (e conseguenti termini di prescrizione diversi) non si applicherebbero. Ma la strada diventa rischiosa: senza lo scudo dell’art. 68, con qualche intercettazione ben fatta lo beccherebbero subito.
Quanti scheletri nell’armadio ha uno che ha passato la vita a delinquere? 7 prescrizioni, una condanna definitiva e una in primo grado autorizzano un certo pessimismo. E quanti reati può commettere da qui in avanti uno che ha sempre considerato la legge qualcosa da cui difendersi e la legalità qualcosa che riguarda gli altri? Ecco perché, quando cominciano a contarcela con i sommi principi, i diritti fondamentali, le garanzie e tutto l’arsenale che ci sta ammorbando, tiriamo un bel sospiro e diciamo sorridendo: guarda che quello ha solo paura che lo intercettino o lo arrestino per qualcosa d’altro. Noi non sappiamo cosa, ma lui sì.
Il Fatto Quotidiano, 4 Settembre 2013