In un crescendo rossiniano di idiozie e stupidaggini Beppe Grillo si appella all’opinione pubblica. Che come è noto oscilla tra la vulgata da bar diffuso e l’autoreferenzialità di interessi particolari. Perché, sono convinto, l’opinione pubblica segue conformismi e riflessioni che afferiscono a insiemi ideologici o di convenzioni sociali e culturali quando va bene. Superficialità e cialtroneria quando va male.
Ad esempio, non tanti anni or sono se fosse dipeso dalla opinione pubblica di certo nord risolvere il problema dell’immigrazione, si sarebbe optato per moschetti e bazooka con cui inibire gli sbarchi degli odiati stranieri. In alternativa, a titolo di esempio, sempre la famigerata opinione pubblica avrebbe optato per la castrazione chimica di qualsiasi pedofilo anche in odor di innocenza. In ulteriore subordine avrebbe ridotto gli oltre tre milioni di lavoratori pubblici a poche decine di migliaia.
Proprio per non dipendere dall’opinione pubblica, per altro fallace come tutte le opinioni, e al contrario governarla, qualche migliaio di anni or sono si è pensato di delegare alla politica, in quanto mediazione di interessi contrastanti, il governo di un borgo, di un territorio o di una nazione. Concetto ostico a Grillo e ai suoi fedelissimi che non a caso aspirano a governare senza alcuna mediazione ma semplicemente raggiungendo (alla pari dei desideri di certo Berlusconi) la maggioranza assoluta dei voti e senza tenere conto di quella minoranza che, per l’appunto, esprime anch’essa una opinione pubblica (per Grillo opinione sicuramente disonesta, immagino).
Pur avendo ragione da vendere su molte cose Grillo si ostina a vanificarla con parole, concetti, metafore che più che paventare rischi dittatoriali conducono il livello culturale del dibattito ancor più in basso. Cosa che parrebbe impossibile in un paese come l’Italia ma che, al contrario, gli riesce benissimo.
Ora la ridicolaggine di certe sue affermazioni roboanti sta prendendo il sopravvento su quanto di buono un movimento fresco avrebbe potuto portare in termini di novità reale. Non vorrei che, prima o poi, riecheggiasse anche l’infelice frase di previtiana memoria in merito alla necessità o meno di fare prigionieri, anche se la terminologia bellica in uso al nostro mi fa pensare che ci siamo vicini.
Purtroppo per lui le truppe comandate sembrano essere maggiormente affascinate dall’attività parlamentare più che dalle trincee di prima linea riuscendo, nell’improbo compito, di farsi prigionieri l’un con l’altro. La situazione ideale per morire di fuoco amico.