Gli “effetti” della sentenza Mediaset sul giudice Antonio Esposito. Arriva giovedì, alle 16, sul tavolo della prima commissione del Csm presieduta da Annibale Marini il doppio dossier riguardante il presidente della sezione feriale della Cassazione che ha confermato la condanna per Silvio Berlusconi.
La commissione, convocata con qualche giorno di anticipo per l’urgenza espressa da alcuni consiglieri laici di area centrodestra del Consiglio superiore della magistratura dopo la diffusione dell’intervista del magistrato al quotidiano “Il Mattino”, dovrà esprimersi su due pratiche, di contenuto opposto: una che ne chiede il trasferimento, per l’intervista, l’altra con la quale lo stesso giudice chiede di essere tutelato, dopo la campagna di stampa diffamatoria di cui è stato vittima. La commissione – segnala palazzo dei Marescialli – non è un plenum e dunque non è pubblica, né è previsto un termine: le possibilità spaziano dalla decisione, al prosieguo l’indomani, al rinvio.
Oltre a Marini, la commissione è formata da Paolo Enrico Carfì (Area), Glauco Giostra (laico centrosinistra), Angelantonio Racanelli (Magistratura indipendente), Mariano Sciacca (Unicost) e Francesco Vigorito (Area). La seduta, come si ricorderà, era stata convocata per il 5 settembre dal presidente, il laico del Pdl Annibale Marini, per verificare se ci siano gli estremi per trasferire d’ufficio Esposito per incompatibilità, dopo la richiesta avanzata dai consiglieri del Pdl Bartolomeo Romano, Filiberto Palumbo e Nicolò Zanon, e trasmessa con procedura d’urgenza dal comitato di presidenza alla commissione. Poi, dopo le polemiche provocate dall’intervista, a rivolgersi al Csm è stato lo stesso Esposito, che ha chiesto di essere tutelato dagli attacchi di alcuni quotidiani.
Tra i rilievi mossi a Esposito dai consiglieri del Csm il fatto di avere anticipato, in alcuni passaggi dell’intervista, poi in parte da lui stesso contestati, le motivazioni della sentenza di condanna di Berlusconi, all’epoca non ancora depositate. Molte erano state le prese di posizione critiche nei confronti delle dichiarazioni di Esposito, bollate come “inopportune” dal presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, e dal primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce. E per verificare se la condotta del giudice sia passibile di un provvedimento disciplinare, si sono mossi anche i due titolari del relativo potere: prima il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, poi il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani.
Il Guardasigilli, lo scorso 9 agosto, ha dato mandato agli ispettori del ministero di compiere approfondimenti sul caso, dopo l’informativa inviata a via Arenula dal primo presidente della Suprema Corte, Giorgio Santacroce. Si tratta di un’attività istruttoria, al termine della quale spetterà all’ispettorato proporre al ministro l’eventuale apertura di un’azione disciplinare. Sulla vicenda è poi intervenuta anche la Procura generale della Cassazione, che ha avviato accertamenti sull’intervista di Esposito al quotidiano napoletano. E nell’ambito di questi accertamenti, una pre-istruttoria conclusa la quale deciderà se aprire un procedimento o archiviare, il pg Gianfranco Ciani ha acquisito, il 26 agosto, la registrazione audio dell’intervista. I due fronti, azione disciplinare e procedimenti davanti al Csm, potrebbero intersecarsi.
E’ probabile dunque che la commissione, al termine dell’istruttoria, nel corso della quale potrebbe decidere di acquisire l’audio dell’intervista e poi, eventualmente, di sentire lo stesso Esposito, si orienti a favore di un’archiviazione, con la trasmissione degli atti ai titolari dell’azione disciplinare. Margini stretti, in base alla consuetudine, anche per la pratica a tutela: ultimamente il Csm tende a non concederne, essendo stabilito dalle norme che si possano aprire solo se si ritiene che siano stati lesi il prestigio non del singolo magistrato ma dell’intera categoria.
C’è da sottolineare che le motivazioni della Cassazione, firmate da tutto il collegio degli ermellini, andavano oltre il sillogismo “è stato condannato perché sapeva”. Secondo i magistrati di palazzo Cavour il leader del Pdl è stato condannato perché era “ideatore” e “beneficiario” del sistema di frodi che lo hanno portato alla condanna nel processo Mediaset.