A Torino il Partito democratico ha deciso di non invitare il raggruppamento di associazioni piemontesi Lgbt al dibattito “Famiglia nel cambiamento economico sociale”. Il segretario regionale Gianfranco Morgando ha spiegato che gli organizzatori hanno preso come riferimento il concetto così come definito dall’art. 29 della Costituzione. Dal coordinamento rispondono: "Noi saremo presenti con la protesta"
Il coordinamento Torino pride, il raggruppamento di associazioni piemontesi Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) è rimasto alla porta della Festa democratica di Torino. Il Pd piemontese ha infatti deciso di non invitarlo per discutere di “Famiglia nel cambiamento economico sociale” durante l’incontro previsto per venerdì 6 settembre. Anche nella città in cui migliaia di persone hanno sfilato lo scorso giugno per il Family pride, con il patrocinio del Comune di Torino e della Provincia, il dibattito di marca democratica ha preferito tenersi lontano da certi argomenti. “Esprimiamo tutto il nostro sconcerto, il disappunto e la nostra delusione per non essere stati contattate/i e invitate/i a partecipare” si legge nel comunicato del coordinamento, che annuncia battaglia: “Noi saremo presenti e cercheremo in ogni modo di poter intervenire”
Del resto l’idea di famiglia proposta dall’iniziativa Pd non lascia spazio ad interpretazioni. Raggiunto al telefono da ilfattoquotidiano.it il segretario regionale del Pd piemontese, Gianfranco Morgando, non ha nascosto in alcun modo lo spirito degli organizzatori: “La nostra iniziativa ha come punto di riferimento il concetto di famiglia così come definito dall’art. 29 della Costituzione, su questa base sono stati selezionati i partecipanti”, dice. “I temi delle unioni gay, con annessi e connessi, non rientrano tra quelli dell’iniziativa sulla famiglia”. Il segretario non ha dubbi e assicura che la Festa, complessivamente, garantisce la pluralità delle voci. “I temi del coordinamento Lgbt, per esempio, sono stati affrontati durante una serata sui diritti cui ha partecipato, tra gli altri, anche il presidente nazionale dell’Arcigay, Flavio Romani”, spiega. Nell’incontro citato da Morgando non si è però parlato di famiglie, ma di omofobia.
Infine, un’apertura in extremis: “A conclusione della serata sarà comunque previsto un dibattito con interventi programmati, nel quale daremo la voce a tutti quindi, ovviamente, anche ai rappresentanti del coordinamento”.
Troppo poco, per chi al valore di questa battaglia crede veramente. “Il nostro cattivo umore nasce perché il dibattito è stato costruito dall’area cattolica del Partito democratico per l’area cattolica del partito democratico”, denuncia Alessandro Battaglia, tra i fondatori del coordinamento. A lui, come ad altri, non è sfuggita la prevalente presenza al tavolo, accanto alla figura tecnica di Linda Laura Sabbadini, direttrice del settore statistiche sociali Istat, di esponenti Pd di area cattolica, come lo stesso Morgando o l’ex parlamentare Mimmo Lucà, dirigente Acli.
Un’impostazione monolitica che fa male a un percorso che la città di Torino ha avviato da tempo e con buoni risultati. “Noi saremo presenti protestando – promette Battaglia – anche se speriamo ancora che ci ripensino. Non vogliamo essere presenti sempre e ovunque – continua – Il senatore Lepri, il segretario Morgando, il deputato Patriarca che parleranno al tavolo non saranno mai d’accordo con noi. Al coordinamento però interessa che chi è lì per ascoltare sia messo a conoscenza dell’esistenza di una realtà diversa, che è nei fatti e non può essere negata, a prescindere dal loro pregiudizio”.