Giovanni Scilabra ha detto la verità. Le dichiarazioni dell’ex direttore generale della Banca Popolare di Palermo sono considerate attendibili dai giudici della corte d’Appello siciliana. Nelle quasi 500 pagine che compongono le motivazioni della sentenza di condanna di Marcello Dell’Utri a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa Nostra, la corte presieduta da Raimondo Lo Forti ha riconosciuto il bollo di attendibilità all’ex banchiere, che il 23 ottobre del 2010 aveva raccontato al Fatto Quotidiano di una richiesta ricevuta dall’ex senatore del Pdl nel 1987. Chiamato poi a testimoniare in tribunale, l’ex banchiere ha confermato il suo racconto. “Scilabra – scrivono i giudici – ha reso dichiarazione che devono ritenersi attendibili e sulla base delle quali è possibile affermare che nel 1987 Dell’Utri si sia recato con Vito Ciancimino, che era stato Sindaco di Palermo e già condannato per mafia, presso la Banca Popolare di Palermo, rivolgendosi a Scilabra, direttore generale dell’epoca, per chiedere un finanziamento, non garantito, di venti miliardi di lire”. L’incontro era stato chiesto a Scilabra da uno degli azioni della Banca Popolare di Palermo, Arturo Cassina, imprenditore “agganciatissimo” con Ciancimino. Dell’Utri invece si era presentato come “consulente del gruppo Berlusconi”. “L’oggetto della visita – riepilogano i giudici – era stato la richiesta di un finanziamento di 20 miliardi di lire che dovevano essere restituiti in 36 mesi”. L’affare però non era andato in porto perché i direttori generali delle altre Banche Popolari avevano rifiutato la richiesta. (“Non mi hanno fatto pernacchie per miracolo di Dio” racconta Scilabra). Scilabra ha anche raccontato di aver chiesto un approfondimento alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, che aveva riferito di come in quel momento il debito della Fininvest si stesse impennando.
“Scilabra – scrivono i giudici – ha ricordato che in un primo momento un suo amico giornalista del Il Sole 24 Ore gli aveva chiesto di rendere un’intervista su queste vicende palermitane in quanto lui era memoria storica della Sicilia. L’intervista tuttavia non era stata fatta perché il direttore Gianni Riotta aveva detto che in quel momento non era possibile comunicandoglielo con nota riservata. Scilabra allora si era adirato e aveva deciso di parlare ugualmente”. Rilasciando appunto l’intervista al Fatto Quotidiano, contestata dal gruppo Fininvest, che ha intentato contro il nostro giornale una causa di risarcimento milionaria. I giudici però credono al racconto dell’ex banchiere. “Deve essere espressa una valutazione positiva sia in punto di credibilità soggettiva sia in punto di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di Scilabra che appaiono sicuramente spontanee e coerenti” scrivono i giudici che sottolineano come le parole dell’ex banchiere non appaiano “ricollegarsi ad alcuna situazione di coercizione e di condizionamento, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa. Scilabra ha spiegato i motivi che lo avevano spinto a parlare di tali circostanze. Era stato spinto a parlare da un senso civico. Le considerazioni fin qui svolte hanno consentito di ritenere le dichiarazioni di Scilabra sono del tutto attendibili e che dunque Dell’Utri si sia recato con Ciancimino soggetto della quale all’epoca già si conosceva lo spessore criminale. La condotta di Dell’Utri mostra ancora una volta come l’imputato abbia scelto di chiedere l’appoggio di Cosa Nostra per realizzare propri interessi personali”.
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