E’ un’emergenza silenziosa, sottaciuta, che spesso viene tenuta nascosta da chi si trova a viverla perché rivelarla genera imbarazzo. Eppure, nella bassa terremotata di un’Emilia tutta da ricostruire, sono in media venti per ogni quartiere residenziale provvisorio, costruito alle periferie dei comuni del cratere, le famiglie che non riescono a fare la spesa. Che non hanno la possibilità, insomma, di reperire il denaro necessario a provvedere al sostentamento alimentare dei propri congiunti. La denuncia arriva dalle associazioni di volontariato attive sul territorio e che si sono autorganizzate nei giorni successivi al sisma e ora si sentono nuovamente abbandonate: da Magnitudo 5.9 a Sisma.12, da Emiliamo a Finale Emilia Terremotata Protesta. Centinaia di persone senza risparmi, senza lavoro, senza una casa, vittime di una crisi nella crisi generata dai terremoti del maggio 2012, a cui ancora non si è riusciti a dare una risposta. Perché chi vive nei Map, i moduli abitativi provvisori forniti dalle istituzioni a chi non ha la possibilità di rientrare nella propria abitazione, non riceve contributi, e se il lavoro manca si fa fatica a portare il cibo in tavola.

“Purtroppo oggi del terremoto non si parla più – spiegano i terremotati – eppure per noi i problemi non sono affatto finiti”. Ad occuparsi di loro, di queste famiglie, sono soprattutto i volontari ‘senza bandiera’: cittadini che in seguito al sisma si sono rimboccati le maniche e si sono organizzati autonomamente in una fitta rete di contatti, allo scopo di portare aiuti a chiunque ne avesse bisogno. Sonia Novi, 66 anni, è una di loro. “Mia madre è stata a lungo malata e io per diversi mesi sono dovuta rimanere al suo fianco – racconta – vivo in provincia di Rovigo e il terremoto l’ho sentito forte e chiaro. Così la mattina stessa del 20 maggio 2012 mi sono messa al telefono, e con l’aiuto del web ho cercato di dare una mano. Diciamo che quando non ero accanto alla mamma cercavo di sostenere i terremotati”.

Lo strumento principale, per Sonia, è stato, appunto, internet. “Sin dall’inizio c’è stata una certa confusione: aiuti che arrivavano da tutta Italia e non si sapeva dove metterli, perché la Protezione Civile non aveva spazio per stoccare tutto quel cibo, tante persone generose che si offrivano di inviare alimenti o beni di prima necessità ma non sapevano dove inviarli. Io mi sono fatta carico di raccogliere tutte quelle segnalazioni e parlando con i sindaci, con la Protezione Civile e con altri volontari come me, ho fatto in modo di collegare la domanda all’offerta, così che nulla andasse sprecato”. Mese dopo mese la rete si è ampliata e ha riunito tutte quelle realtà che rappresentano ancora oggi la ‘voce’ dei terremotati: da Magnitudo 5.9 a Sisma.12, da Emiliamo a Finale Emilia Terremotata Protesta. “Il terremoto è stato un grande esempio di generosità: ditte di autotrasporti che si offrivano di portare in Emilia, gratuitamente, gli aiuti offerti da cittadini di altre regioni, e tantissimi privati che hanno messo a disposizione ciò che hanno potuto per assistere la popolazione”. Il sistema, però, dopo 15 mesi vacilla. “Il problema – spiega Sonia Novi – è che al di fuori del ‘cratere’ si crede che l’emergenza terremoto sia finita. Ma non è così. Qui c’è ancora bisogno di aiuto”.

Nevio Bortolai, per esempio, ha creato le magliette vendute in tutta la bassa per raccogliere soldi da donare ai terremotati. “L’idea mi è venuta dopo la prima scossa – racconta – mi sono detto che se non ci fossimo organizzati noi cittadini, dall’emergenza terremoto non saremmo mai venuti fuori. Fortunatamente la gente mi ha aiutato e sono stato in grado, a mia volta, di assistere molte persone”. In quindici mesi Nevio è riuscito a vendere più di 15.000 magliette, e a organizzare numerose iniziative di beneficienza. “Non avevo una lista, chi aveva bisogno riceveva il mio aiuto”, spiega, calcolando di aver distribuito oltre 40.000 euro tra i terremotati, più altri 20.000 suddivisi tra i comuni di Mirabello, Cento, Bondeno e Vigarano Mainarda. “Purtroppo oggi è più difficile. Se all’inizio tutti inviavano qualcosa, e parlo sempre di privati cittadini, oggi le donazioni sono più esigue”. Eppure, in qualche modo, le maxi spese al supermercato da distribuire tra i residenti dei Map non mancano mai. “Facciamo il possibile – continua, oggi impegnato in una lotteria il cui ricavato sarà destinato alle famiglie delle vittime del terremoto – lavoro in una pasticceria e ho un po’ di tempo libero, così faccio quello che riesco”.

Del resto, la ricostruzione che non vuole partire e una disoccupazione che ha raggiunto livelli record nel cuore devastato della regione continuano a stringere in una morsa tutta l’Emilia. E per molti l’unica soluzione è chiedere aiuto ai volontari, o alla Caritas, per arrivare a fine mese. “A chi volesse darci una mano, basta cercarci su Facebook – spiega Sonia – oggi riusciamo ad aiutare poche famiglie, 4 o forse 5, ma la richiesta è molto più alta. Certo, le necessità sono cambiate. L’anno scorso servivano aiuti massicci per intere comunità, oggi le dimensioni sono inferiori. Ma dire che va tutto bene non è possibile”.

“Ieri, per esempio, una volontaria di Mirandola ha ricevuto una richiesta d’aiuto da una famiglia i cui genitori non hanno reddito perché l’azienda dove lavoravano ha chiuso. Ma spesso è difficile indurre chi ne ha bisogno a farsi avanti e a rivolgersi a noi, perché ammettere di non riuscire a comprare il latte per i propri figli genera imbarazzo”. A mancare sono soprattutto il cibo e i prodotti per i bambini. “Da quando i campi della Protezione Civile sono stati chiusi, senza peraltro che i generi alimentari rimasti in magazzino fossero distribuiti, in molti casi sono stati lasciati a marcire, non c’è più nessuno che provveda da questo punto di vista”.

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