Dice Roberto Maroni: “Gli faranno fare la fine di Bettino Craxi”. Silvio Berlusconi, d’altro canto, ci sta mettendo del suo: per esempio accarezzando l’idea di andare in Senato a pronunciare il Gran Discorso, a fare la propria autodifesa pubblica in Parlamento, prima del voto che potrebbe espellerlo da Palazzo Madama. Craxi lo fece: e gli fu fatale.
Cento passi separano il Senato dall’Hotel Raphael, cento passi e vent’anni di storia italiana. Era il 29 aprile 1993 quando il segretario del Psi fece il suo ultimo intervento pubblico alla Camera, prima del voto dei deputati chiamati a esprimersi sulle autorizzazioni a procedere contro di lui chiesta dalla Procura di Milano. Lesse per 45 minuti filati alcuni fogli su cui aveva scritto un discorso che aveva limato fino all’ultimo minuto. Contenevano un’ammissione e un attacco. L’ammissione era l’esistenza di un sistema illecito di finanziamento dei partiti, un’illegalità diventata sistema, consolidata negli anni e trasversale a tutte le forze politiche: “Tante verità negate o sottaciute sono venute una dopo l’altra a galla e tante altre ancora ne verranno. E mentre molti si considerano tuttora al riparo, dietro una regola di reticenza e di menzogna, non si è posto mano a nessun rimedio umano, ragionevole e costruttivo”.
L’attacco era per la magistratura e la stampa: i pubblici ministeri non hanno svolto indagini, sostiene Bettino, ma hanno fatto un uso disinvolto dei poteri giudiziari, costruendo “teoremi”, imponendo “ipotesi accusatorie viziate, perché costruite da una sommatoria di notizie di reato artefatte”. Con ciò hanno provocato morti, spinto al suicidio, determinato infarti, in una spirale di “violenza giudiziaria” che ha schiantato uomini e distrutto famiglie. Hanno realizzato “arresti illeciti, facili, collettivi, spettacolari e perfino capricciosi”. Hanno deciso “detenzioni illegali che fanno impallidire la civiltà dell’habeas corpus”. Hanno prodotto “violazioni sistematiche del segreto istruttorio”. Hanno costruito una “giustizia che funziona a orologeria politica”, con “inchieste su di me, sulle mie proprietà, sui miei figli, sui miei amici”.
Quanto alla stampa, sostiene Bettino, ha seguito i pm con campagne a senso unico, umiliando le ragioni degli inquisiti, avvalendosi di una sistematica violazione del segreto istruttorio, conducendo processi mediatici e irrogando pene anticipate: “I giornali hanno ruotato sovente attorno a slogan e a brutali semplificazioni”.
“Buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale”
Il discorso dell’aprile 1993 sviluppa la chiamata di correo sul finanziamento illegale ai partiti che Craxi fece alla Camera dieci mesi prima, il 3 luglio 1992, durante il dibattito sulla fiducia al governo Amato. In quell’intervento, il segretario socialista nega di avere responsabilità nel sistema della corruzione, che pure è diventato “una rete di corruttele grandi e piccole, tanto estesa e ramificata da legittimare un vero e proprio allarme sociale”. Ammette però (tardivamente, certo, e giustificandolo) il finanziamento illegittimo: “Nessun responsabile di organizzazioni importanti può affermare di non avervi mai fatto ricorso”, scandisce.
“In quest’aula e di fronte alla Nazione penso si debba usare un linguaggio improntato alla massima franchezza”, senza “nobili e altisonanti parole di circostanza che molto spesso hanno tutto il sapore della menzogna… Bisogna dire, e tutti lo sanno, che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale… I partiti sono ricorsi e ricorrono all’uso di queste risorse aggiuntive… Se gran parte di questa materia deve essere considerata puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo. Presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”. Nessuno si alzò. E dieci mesi dopo, quell’aula lo assolse, bocciando a maggioranza quattro delle sei richieste di autorizzazione a procedere. Una vittoria in Parlamento che si trasformò in pochi minuti in una disfatta nel Paese. L’indignazione scattò in tutta Italia, con manifestazioni e proteste contro il salvataggio di Craxi realizzato da quella che ancora non si chiamava “casta”.
Le monetine, l’indignazione e le dimissioni dei ministri di sinistra
Il giorno dopo gli studenti dell’istituto Einstein di Roma invadono piazza Colonna scandendo slogan contro governo e Parlamento. Altri giovani assediano la sede del Psi in via del Corso. Gli studenti del liceo Mamiani percorrono in corteo il centro città e sono poi dispersi dalla polizia. Il Msi manifesta alla Galleria Colonna. La Lega sfila dalla Camera al Pantheon urlando slogan durissimi contro Craxi (ma Maroni, capo del nuovo Carroccio, oggi mostra di essersene dimenticato). Il Pds sospende la sua riunione di segreteria e convoca invece una manifestazione in piazza Navona, dove parla il segretario Achille Occhetto.
Alla fine del comizio, una piccola folla invade largo Febo, a ridosso della piazza, e attende Craxi fuori dall’Hotel Raphael, che da anni è la sua dimora romana. Quando Bettino esce, partono i cori, gli insulti, le monetine. È l’immagine-simbolo della fine di Craxi e della Prima Repubblica. Un anno dopo, nel maggio 1994, il segretario socialista fuggirà ad Hammamet per evitare l’arresto. Subito dopo il salvataggio parlamentare di Craxi, la Rete di Leoluca Orlando e Nando dalla Chiesa abbandona la Camera. Il Partito Repubblicano di Giorgio La Malfa chiede elezioni politiche immediate. Il verde Francesco Rutelli dà subito le dimissioni da ministro del neonato governo Ciampi. Lo seguono anche i tre ministri del Pds, Augusto Barbera, Vincenzo Visco e Luigi Berlinguer. Il segretario Occhetto chiama il capo dello Stato e trova un Oscar Luigi Scalfaro, secondo le cronache politiche, “su tutte le furie”. Eppure non recede: “Mi spiace”, gli spiega, “ma per noi non è più possibile andare avanti”. Il governo Ciampi, sostenuto a spada tratta anche dall’allora presidente della Camera, Giorgio Napolitano, si salverà soltanto grazie a una esplicita dissociazione dal voto salva-Craxi. Vent’anni fa, Bettino fu sconfitto nel Paese dopo due discorsi alla Camera a loro modo “politici”, che almeno cercavano di affrontare, seppur con imperdonabile ritardo, vistose reticenze e grossolane falsità, il nodo del sistema delle tangenti per cui era indagato.
Oggi Silvio, se farà il Gran Discorso al Senato, dovrà invece tentare di difendersi dalle accuse di aver organizzato, da imprenditore, una colossale frode fiscale ai danni dello Stato, per cui è già stato definitivamente condannato. E poi, a differenza di Bettino, Silvio non ha nemmeno più il passaporto.
il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2013