Tra Stati Uniti e Russia torna un clima da guerra fredda. Perché lo scontro tra Obama e Putin è totale. Al di là delle dichiarazioni di cortesia, la divergenza di opinioni su un possibile intervento armato in Siria non potrebbe essere più netta. La spaccatura si registra in modo tangibile con l’esclusione di ogni riferimento alla situazione siriana dal comunicato finale del G20 di San Pietroburgo, dove la questione della crisi del Paese, già oggetto di divisioni tra i leader (la cronaca di ieri), ha sì dominato le discussioni, per poi sparire dal comunicato finale del summit e riapparire in una dichiarazione congiunta a firma di 10 Paesi. Australia, Canada, Francia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita, Spagna, Turchia e Stati Uniti, infatti, “condannano l’attacco con armi chimiche avvenuto a Damasco il 21 agosto e di cui il regime di Assad viene ritenuto responsabile”. A tenere banco, però, non è il vertice, bensì lo scontro verbale tra Russia e Stati Uniti.
PUTIN: “SOSTERREMO ASSAD IN CASO DI INTERVENTO MILITARE STRANIERO” – Non è bastato a Obama promettere un “intervento militare limitato”, sottolineando ancora una volta come “non saranno inviate truppe sul terreno”. Alla fine, il numero uno della Casa Bianca ha rinunciato a far cambiare posizione alla Russia e “non si aspetta di avere la sua collaborazione”, come dichiarato dal vice consigliere alla Sicurezza nazionale del presidente Usa, Ben Rhodes. “Mosca si rifiuta di agire anche in sede Onu perché semplicemente vuole evitare il problema”, aveva detto in mattinata Obama. “Aiuteremo Damasco con armi e soldi, intensificando la cooperazione umanitaria in caso di azione militare contro la Siria”, ha risposto Putin durante la conferenza stampa finale del G20. “L’applicazione della forza nei confronti di uno Stato sovrano è possibile solo per autodifesa e con il mandato Onu, e non è questo il caso. Come già detto, chi agisce in modo unilaterale viola la legge internazionale”, ha detto il presidente russo facendo l’elenco dei favorevoli e dei contrari all’intervento militare: “Non è vero che i Paesi sono divisi al 50% tra il sì e il no” perché, almeno secondo Putin, prevale il “no”.
OBAMA: “MARTEDI’ DISCORSO ALL’AMERICA. MAGGIORANZA LEADER CON NOI CONTRO ASSAD” – Del tutto opposte le convinzioni del presidente americano: “Una delle preoccupazioni maggiori del popolo americano ha a che fare con capire che quello di cui stiamo parlando è una cosa limitata e studiata per affrontare questo problema delle armi chimiche. Questa è l’argomentazione che porterò avanti, non solo al Congresso ma anche con il popolo americano nei prossimi giorni”, ha detto Obama preannunciando di voler tenere un discorso alla Nazione il prossimo martedì 10 settembre. Anche rispetto alla posizione prevalente dei Paesi del G20 nei confronti dell’intervento armato, Obama e Putin offrono due visioni contrapposte: “Nella discussione di ieri sera con i leader era unanime la posizione sul fatto che armi chimiche sono state usate in Siria e la maggioranza della sala era a suo agio con la nostra conclusione sul fatto che Assad sia responsabile”, ha detto il presidente Usa in conferenza stampa. E se non arriverà l’appoggio di Capitol Hill? “La mia richiesta di un voto del congresso sui raid non è stata simbolica. Tuttavia sarebbe un errore riflettere ora su cosa può capitare dopo un eventuale voto contrario – ha detto Obama rispondendo ai cronisti – La risposta militare ad Assad può arrivare in un giorno, una settimana, un mese e sarà proporzionata e limitata”. Intanto la prima data è stata fissata.
McCAIN: “ERRORE PER OBAMA AVER ASPETTATO VOTO CONGRESSO”
“E’ stato un errore per il presidente Obama dire che avrebbe lanciato un attacco per poi tornare indietro e annunciare che avrebbe aspettato il voto del Congresso”. Parola del senatore repubblicano John McCain nel corso di un collegamento video con il workshop Ambrosetti a Cernobbio in merito all’intervento americano in Siria. “Noi non vogliamo ripetere gli errori dell’Iraq – ha continuato McCain – Ma non possiamo nemmeno rimanere inerti di fronte alle brutalità di Assad. Dobbiamo agire, ma con coscienza”. Per il senatore, bisogna rinegoziare un cambio di Governo. “Assad se ne deve andare. Finché sarà al potere, rimarrà il pericolo che vengano usate armi di distruzione di massa”.
DA MERCOLEDI’ 11 SETTEMBRE LA RISOLUZIONE AL SENATO USA
La risoluzione sul raid in Siria, infatti, sarà messa i voti al Senato a partire da mercoledì 11 settembre. Si tratta del primo voto procedurale, in cui i no cercheranno di ottenere più di 40 voti, per bloccare di fatto il provvedimento. ”Mercoledì avremo sessanta voti favorevoli al raid’’: è ottimista Harry Reid, capo della maggioranza democratica al Senato, in vista del primo test vero, la prova dell’Aula. “E’ un work in progress”, ha aggiunto Reid, tenuto contro che nei giorni che mancano a quella data gli uomini dell’amministrazione, per primo il vicepresidente Joe Biden, sono impegnati a convincere i tantissimi senatori ancora dubbiosi. Al momento, secondo il Washington Post, i 100 senatori sono così divisi: 15 no, 10 vicini al no, 23 si, e ben 52 ancora indecisi. Da ricordare che secondo il regolamento della Camera Alta la maggioranza può battere ogni tentativo di ostruzionismo a patto di superare quota 60, cioè ben 10 voti in più della maggioranza assoluta. Altrimenti il provvedimento si blocca. Se mercoledì arriverà il via libera, la risoluzione andrà poi all’esame della Camera, a maggioranza repubblicana. Al netto del voto, tuttavia, sembra difficile un passo indietro degli Stati Uniti. L’ultima conferma dalle parole dell’ambasciatrice Usa all’Onu Samantha Power, che parlando al Center for American Progresso a Washington ha usato concetti chiari per raccontare ciò che sarà: ”Tutte le alternative all’azione militare in Siria sono state esaurite”.
LETTA: “ITALIA NON PARTECIPERA’ SENZA VIA LIBERA DELL’ONU” – “Siamo fortemente impegnati a ricercare una posizione comune tra i Paesi europei sulla Siria. E’ il lavoro fatto qui ed è il lavoro che faremo anche in sede del Consiglio europeo per avere una posizione unica“, ha affermato il premier Enrico Letta promettendo aiuti umanitari per 50 milioni di euro. “L’Italia non parteciperà ad alcuna iniziativa di carattere militare che non abbia l’autorizzazione esplicita dell’Onu”, ha ribadito il presidente del consiglio italiano registrando “una dolorosa divisione” tra i membri del G20 sul capitolo Siria e promettendo di continuare a darsi da fare per una “soluzione politica” del conflitto.
PER STAMPA USA PRONTO ATTACCO AEREO DI LARGA SCALA – Secondo Abc news però, Obama avrebbe ormai abbandonato l’idea della mediazione. Gli Stati Uniti infatti, starebbero preparando un attacco aereo di larga scala in Siria, con l’utilizzo di missili sparati da aerei bombardieri B2 e B52 decollati dagli Usa. L’operazione dovrebbe durare almeno due giorni, decisamente più ampia quindi rispetto a quanto sinora trapelato. Il New York Times racconta invece che il presidente americano ha dato direttive al Pentagono affinché metta a punto una lista più ampia di potenziali bersagli in Siria sulla base delle indicazioni di intelligence secondo cui il governo di Bashar al-Assad avrebbe spostato le sue truppe e l’equipaggimento militare responsabili dell’attacco chimico. Obama, sempre secondo il NYT, è ora deciso a a mettere maggiore enfasi sul depotenziamento, uno dei due obiettivi di un intervento militare oltre alla “deterrenza” delle capacità di Assad di usare armi chimiche. Questo implica un ampliamento della lista originaria dei bersagli principali, che ne includeva circa 50. Per la prima volta, l’amministrazione sta parlando della possibilità di usare velivoli americani e francesi per raid contro bersagli specifici, oltre al ricorso ai missili Tomahawk, scrive il quotidiano online.
HOLLANDE: “ASPETTERO’ RAPPORTO ONU PRIMA DI DECIDERE”
Le dichiarazioni dei diretti interessati, però, dicono altro. Il presidente francese Francois Hollande, infatti, ha comunicato di voler aspettare il rapporto degli ispettori Onu sull’uso di armi chimiche in Siria prima di decidere se partecipare ad un’azione militare contro il regime di Bashar Assad. Parole chiare. “Aspetteremo la decisione del Congresso, del Senato e la Camera americani, poi il rapporto degli ispettori Onu. Prenderò allora una decisione, alla luce di questi elementi” ha spiegato Hollande nella sua conferenza stampa al termine del G20 a San Pietroburgo. Per Hollande, del resto, le conclusioni del rapporto Onu aiuteranno a mobilitare il sostegno dell’opinione pubblica. E si è impegnato ad annunciare la sua decisione in un discorso alla nazione.
PREGHIERA E DIGIUNO A SAN PIETRO CON PAPA FRANCESCO – Su Twitter Papa Francesco ha lanciato l’hashtag (#prayforpeace) per le cinque ore di preghiera e digiuno (dalle 19 alle 24) annunciate per domani durante l’Angelus dell’1 settembre“per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero” perché “l’umanità – aveva spiegato il Pontefice – ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di pace“. “Cari giovani, pregate insieme a me per la pace nel mondo”, ha scritto il Papa in un nuovo tweet, alla vigilia del momento di raccoglimento che si svolgerà in piazza San Pietro.