Già in 172esima posizione su 179 Paesi elencati nella classifica sulla libertà d'informazione stilata da Reporter senza frontiere, il paese rischia di cadere ancora più in basso. Dall'inizio dell'anno sono stati almeno 46 i vietnamiti incarcerati e condannati, contro cui sono state sollevate le accuse di propaganda contro la Repubblica socialista
Se il vero obiettivo del controverso Decreto 72, entrato in vigore il primo settembre in Vietnam, era di tutelare la proprietà intellettuale, come sostiene il governo, il “rimedio” ideato dall’esecutivo si è rivelato peggiore del danno che avrebbe dovuto emendare.
Il messaggio della norma firmata dal primo ministro Nguyen Tan Dung (nella foto) è stato recepito in tutto il mondo come un tentativo di Hanoi di imbavagliare le voci dissidenti e impedire la condivisione di notizie e informazioni su social network e blog. Già in 172esima posizione su 179 Paesi elencati nella classifica sulla libertà d’informazione stilata da Reporter senza frontiere, il Vietnam rischia di cadere ancora più in basso.
Sembra non lasciare spazio alle interpretazioni il passaggio in cui spiega che ai siti personali “è consentito pubblicare soltanto notizie proprie e non quotare, riassumere, aggregare informazioni prese da organi di stampa e siti governativi”. Norme da leggere di pari passo al divieto di diffondere informazioni considerate contro gli interessi vietnamiti o che minaccino la sicurezza nazionale, l’ordine sociale e l’unità del Paese.
La stretta sui blogger e gli attivisti per la democrazia si è intensificata. Dall’inizio dell’anno sono stati almeno 46 i vietnamiti incarcerati e condannati, contro cui sono state sollevate le accuse di propaganda contro la Repubblica socialista, attività per rovesciare il governo, abuso delle libertà democratiche. Secondo le associazioni per la tutela dei diritti umani, la vaghezza dei divieti stabiliti dal Decreto 72 darà modo di intensificare la sorveglianza governativa.
Al contrario, replica il governo, serviranno a porre le basi per lo sviluppo di internet nel Paese e tutelare la proprietà intellettuale e il diritto d’autore. Una motivazione che sembra non avere tutti i torti. Come spiega il sito Tech in Asia, la stesura del decreto ha origine dalla vicenda che all’inizio dell’anno ha visto il quotidiano locale PetroTimes citare in giudizio l’aggregatore Bao Moi per aver attinto a centinaia di notizie riportate poi sul sito. Sotto alcuni aspetti, il caso del Decreto 72 rientra in quella che per l’Asia Sentinel è la ricerca di Hanoi di conciliare le leggi e le norme che regolano lo sviluppo della propria economia che va più verso la direzione del mercato, con l’aderenza ideologica ai principi socialisti che garantiscono il ruolo predominante del Partito unico al governo.
Questo in un contesto in cui un terzo della popolazione va già su internet, con il governo intenzionato a portare online anche il restante 60 – 70 per cento e mentre nel Paese cresce lo scontento per la corruzione e si amplia il dibattito sulle riforme politiche e su quale sistema possa rimpiazzare il vecchio ordine vietnamita.
La decisione di emendare la Costituzione, almeno nelle parti che riguardano la gestione dell’economia statalista ha portato a richieste di cambiamenti nella direzione di un sistema multipartitico. Nelle ultime settimane ha attirato l’attenzione della stampa la nascita di un nuovo Partito socialdemocratico, intenzionato ad agire nella legalità e cui, dicono le cronache, avrebbero aderito anche numerosi membri del Partito comunista.
Che qualcosa debba cambiare nelle stanze del potere ad Hanoi lo si è capito lo scorso giugno, quando per la prima volta il primo ministro e il suo governo si sono sottoposti al giudizio dell’Assemblea nazionale, il Parlamento vietnamita, con i 500 delegati che dovevano assegnare loro un voto di fiducia alta, media o bassa. Nel complesso l’esecutivo è uscito promosso, ma diversi esponenti del governo hanno ricevuto un voto basso, un terzo del totale.
di Sebastiano Carboni