Sul palco della festa del Fatto Quotidiano, il conduttore di Servizio Pubblico e il presidente di Rcs Libri hanno discusso di politica e comunicazione analizzando il presente partendo dal passato
“Sono contento se vince Renzi, almeno si volta pagina”: l’ultimo sostegno in ordine di tempo al sindaco di Firenze non arriva da un collega di partito spaventato dalla perdita della poltrona, ma da Michele Santoro, che dal palco della festa del Fatto Quotidiano a Marina di Pietrasanta incorona l’esponente più temuto da Silvio Berlusconi come l’uomo su cui puntare. Più drastico Paolo Mieli, secondo cui il Cavaliere “è finito”. Entrambi concordi nel descrivere le conseguenze di vent’anni di berlusconismo, dove l’illusione del “tutti ricchi” ha tenuto insieme il Paese. Il conduttore di Servizio Pubblico cita più volte il titolo di un reportage realizzato da Riccardo Iacona ai tempi della trasmissione televisiva Sciuscià: un mito crescente soprattutto nelle periferie italiane, “dove la sinistra non metteva più piede da tempo”.
“Cosa abbiamo fatto per le ragazze del bunga bunga?”, chiede retoricamente Santoro. Puntando il dito contro il moralismo della sinistra e l’incapacità di garantire la spinta alla scalata sociale: “Chi nasce povero deve avere la speranza di poter cambiare la propria condizione sociale”. Il pubblico si scalda, sentendo parole a cui la sinistra non li ha abituati da tempo. Colpevole anche la Rai, ossessione-missione del conduttore di Servizio Pubblico: “La tv generalista che modello ha proposto in alternativa al reality del porno?”.
Grillo ha colto la delusione di un Paese in caduta libera, con il suo “siamo tutti morti”, senza dare però un’alternativa. Secondo Santoro “stiamo rischiando la terza Guerra mondiale”, quella con la “g” maiuscola a cui siamo abituati solo sui libri di scuola. “La disuguaglianza ha assunto forme mostruose con il precariato”, ma dopo il moto popolare (e quello virtuale in Rete) si apre il problema tutto italiano della paura davanti alla libertà: “Si cerca la nuova Italia, e poi si trova la più vecchia delle Italie”, rileva lo sguardo da storico di Mieli.
La sommossa si trasforma in quiete, si “indebolisce il collante sociale” e tornano gli integralisti. E’ successo con i grandi dittatori del 900, si è ripetuto con il ventennio berlusconiano. Gli oppositori del Cavaliere, a causa della propria incapacità non sanno far nascere “una leadership democratica”, lasciando spazio a un leader senza “passato politico”, secondo la logica del presente. “Berlusconi ha rappresentato l’idea di un “potere indulgente”, facilmente digeribile. Non di certo “un dittatore”. Ha detto ‘lasciatemi fare’ – dice Santoro -, perché gli altri vi riempiono di tasse e di immigrati’. Il pubblico abbassa la testa. Quello stesso pubblico che tre anni fa aveva sostenuto l’avventura di Servizio Pubblico, prossimo alla terza edizione. Il colpo di grazia lo dà Mieli: “Gli italiani sono sempre passati da zerbini del regime a fervidi sostenitori di quello successivo”. Domani non troverete ‘berlusconiani‘, dice sorridendo il presidente di Rcs libri: “Qui non si paga mai dazio. E’ nel dna del Paese”.