L'opera d'arte, un bassorilievo in gesso, è andata in frantumi nel corso di un'operazione di trasporto da Perugia ad Assisi. Doveva partecipare ad una esposizione della fondazione dell'ex ministro Galan, la stessa che usò le opere del maestro come spot per la lingerie
Prima o poi doveva succedere: il mostrificio italico ha fatto una vittima illustre. Il 2 agosto un bassorilievo in gesso di Antonio Canova è stato staccato dal muro dell’Accademia d’Arte di Perugia per essere spedito a soli 24 chilometri di distanza, a una trascurabile mostra di Assisi intitolata semplicemente “Canova”. L’operazione, affidata alla ditta di trasporti Alessandro Maggi di Pietrasanta, è stata fatale: il gesso, cadendo, si è ridotto in mille pezzi. E non c’è restauro che tenga. L’opera era uno dei pochi esemplari noti dell’Uccisione di Priamo, episodio omerico che insieme ad altre famose scene della letteratura classica ispirarono a Canova una delle sue più celebri serie di bassorilievi. Proprio come il bronzo, il gesso consente di moltiplicare gli originali, e in questi casi l’importanza dell’esemplare è legata alle circostanze della creazione: e quello di Perugia aveva tutte le carte in regola, perché era stato donato all’Accademia dagli eredi dello stesso Canova. L’assicurazione dovrebbe ripagare 700.000 euro. Magra consolazione: la nostra generazione ha distrutto qualcosa di unico e irripetibile, che non passeremo ai nostri figli.
Delitto nel delitto, su questo episodio clamoroso è scesa una coltre di silenzio: la notizia non è riuscita a evadere da scarne cronache locali, e i grandi giornali (che vivono anche del business delle mostre) si sono ben guardati dal raccontare il disastro perugino. Né il sito dell’Accademia né quello del ministero per i Beni Culturali ne danno notizia. L’unico che ha messo il dito nella piaga è lo storico dell’arte Francesco Federico Mancini, in una bella intervista al Corriere dell’Umbria. Mancini chiarisce assai bene la costellazione strumentale e commerciale sotto la quale è nata la mostra che è all’origine di quella che definisce una “gravissima perdita per il nostro patrimonio” che suscita “sconcerto e indignazione”.
La mostra di Assisi è una specie di franchising della Gipsoteca Canoviana di Possagno, l’istituzione che raccoglie l’eredità dell’artista, e che oggi è stata trasformata in una fondazione, e dunque immancabilmente cannibalizzata dalla politica. Il suo presidente, infatti, è il solito Giancarlo Galan, l’ex ministro pdl per i Beni Culturali il cui consigliere saccheggiò la Biblioteca dei Girolamini a Napoli. Il rapporto culturale tra Galan e Canova è ben chiarito dalla scelta di far realizzare (nel novembre 2012) un catalogo di Intimissimi nella Gipsoteca: una galleria fotografica in cui tombe papali, santi e eroi classici servono a vendere mutande e reggicalze. Una scelta benedetta dall’allora sottosegretario ai Beni Culturali Roberto Cecchi (governo Monti), il quale dichiarò sottilmente che “economia e cultura sono un tutt’uno, non a caso siamo il Bel Paese”. La mostra di Assisi è l’esatta attuazione di questa linea: non ha un progetto scientifico (anche se ha un comitato che vanta direttori generali Mibac e soprintendenti: i quali forse dovrebbero lasciarlo, visto il tragico epilogo), non ha una linea culturale. È un’antologica da cassetta che sarebbe giustificata dal fatto che il fratello di Canova aveva possedimenti in Umbria: parole incredibili, ma vere, del direttore artistico culturale di Perugia-Assisi 2019, che è il carrozzone di una delle quasi venti candidature italiane a capitale della cultura europea nel 2019. Un direttore (meraviglia nella meraviglia) che è il critico letterario Arnaldo Colasanti, noto ai più per aver condotto un’edizione di Uno Mattina Estate.
Proprio il tandem europeo Perugia-Assisi è il motivo per cui la mostra di Canova (invece di svolgersi semmai all’Accademia di Perugia, dove avrebbe avuto più senso e più sicurezza) è stata programmata ad Assisi: dando la stura a un coro di esilaranti scempiaggini, come quella (avanzata dal direttore della sventurata Accademia perugina) sulle affinità armoniche tra le forme neoclassiche di Canova e i versi medioevali di San Francesco. Ma c’è poco da ridere: i cocci del rilievo di Canova ci ricordano che il mostrificio politico-commerciale in servizio permanente-effettivo non mette a rischio solo la funzione civile e culturale del patrimonio. Ne minaccia la stessa sopravvivenza materiale. Il Mibac diretto da Massimo Bray ha stoppato la terrificante mostra di Roma Barocca prevista a Pechino e annullato l’esibizione commerciale del San Giovannino di Michelangelo alla Galleria Borghese. Ma è tutto il sistema a dover essere profondamente innovato. E non è il caso di aspettare altri cocci.
Da Il Fatto Quotidiano del 5 settembre 2013