La Costa Concordia resterà ancora a lungo all’Isola del Giglio. Se tutto andrà bene, almeno fino al giugno del 2014. Se invece qualcosa andrà storto – e le possibilità ci sono e sono tante – il relitto potrebbe restare lì anche per tutta la prossima estate. Dipenderà dai danni che subirà il ventre della nave nel momento in cui sarà rimessa in assetto verticale. O, almeno, nel momento in cui si tenterà di rimetterla in piedi. L’operazione non è stata mai tentata prima d’ora, è un debutto assoluto quello di cui si faranno carico, probabilmente intorno al 20 settembre, i tecnici della Titan-Micoperi incaricati del recupero e della messa in sicurezza del relitto. Poi si vedrà. Perché quello che non ha detto, il 6 agosto scorso, il capo dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli, lo ha svelato alcuni giorni fa Maria Sargentini, direttore generale del governo del territorio della Regione Toscana al sindaco dell’Isola, Sergio Ortelli. Che è rimasto senza parole: “Sapevamo che i tempi della rimozione del relitto sarebbero dipesi interamente dall’eventuale successo della rotazione della nave – commenta, con rabbia e amarezza Ortelli – ma il fatto che la nave possa restare qui addirittura un altro anno intero è una cosa che sarà difficile da spiegare ai miei concittadini; anche perché, se riusciranno davvero a tirarla su, poi ci troveremo con un palazzo di otto piani davanti al porto per un anno intero, proprio come quella notte, il 13 gennaio 2012, prima che si piegasse. Credo si possa capire lo sconforto profondo di tutti i gigliesi”.
E’ tempo di scommesse, all’Isola del Giglio. Passato il pienone turistico di Ferragosto, ora si fanno i conti con un nuovo anno incerto all’ombra del Concordia. Più incerto, se possibile, di quello appena trascorso. Perché, con la rivelazione della Sargentini al sindaco, è anche sbucato fuori un rapporto dell’Osservatorio regionale dell’emergenza ambientale, diretto sempre dalla medesima Sargentini e già noto al presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, dove si sottolineano tutte le incertezze, non ultima quella rappresentata dal porto che dovrà ospitare la rottamazione della Concordia: Piombino o Palermo? Di sicuro, allo stato, questo è l’ultimo dei problemi, anche se il primo in termini politici: la Regione Toscana sta facendo di tutto per fare in modo che la rottamazione della Concordia sia fonte di lavoro per il porto di Piombino, in forte sofferenza occupazionale.
Prima di arrivare al porto, però, ci sono tutte le fasi precedenti. A partire da quella rotazione “dell’animale a otto piani adagiato su un fianco” che comincerà lentamente alla fine di settembre. E il rischio, dicono al Giglio con quel disincanto disfattista tipico dell’indole toscana, è “che la bestia si apra in due come una cozza e non ci lasci più scampo”. La Concordia, d’altra parte, è ancora piena: ci sono le celle frigorifere, le officine e le sale di stoccaggio dei materiali meccanici, l’intero impianto idraulico è ancora pieno d’olio, per non parlare del resto. Dalla nave, insomma, non è stato tolto che quello che si poteva (ci sono ancora 1500 televisori al plasma e i frigoriferi in ogni stanza), di certo troppo poco nel caso in cui la nave dovesse cedere e rilasciare in mare “l’impossibile”. Perché sarebbe davvero il disastro ambientale perfetto.
I tecnici della Titan-Micoperi rifuggono questa immagine che, invece, i gigliesi vedono come un incubo. La nave è stata imbragata pochi giorni fa con due collari, due bestioni d’acciaio nero che sono scomparsi sott’acqua poco dopo un arrivo via mare degno di un film. Un collare “vittoriano”, lo ha definito il sindaco, che è stato infilato all’altezza della prua e della poppa, proprio per evitare che i cassoni che sono stati appoggiati sulla murata sinistra della nave e che saranno riempiti d’acqua per consentire la rotazione, si portino via, con il peso, anche una parte della murata ormai arrugginita. Troppo arrugginita. “Per una settimana, dal momento in cui comincerà la rotazione – racconta Ortelli – il Giglio resterà davvero da sola con la sua tragedia, terremo il fiato sospeso”. Servirà forse un giorno intero, forse anche due, per completare l’operazione. La nave verrà fatta ruotare di due, massimo cinque gradi l’ora. “Forse sentiremo le lamiere contorcersi, forse ci sarà l’idea che qualcosa dentro si stia spezzando – raccontano dei vigili del fuoco di stanza fissa a Giglio Porto da quando è cominciata l’emergenza – ma sappiamo che fa parte del gioco e che questo gioco vale la candela. Almeno, lo speriamo”.
Nel rapporto è previsto anche un piano di evacuazione dell’isola qualora le cose si mettessero male, malissimo, ma è un fantasma che al Giglio si evita rigorosamente di evocare. I gigliesi si lamentano di non essere stati mai messi al corrente di cosa stava avvenendo davvero, né di cosa succederà domani. Vedono, giorno dopo giorno, che il relitto di sta deformando fortemente e nessuno (davvero nessuno) sa come sia ridotta la murata del relitto che appoggia sugli speroni due roccia su cui la nave si è inchiodata il giorno del naufragio. Le grandi incognite sulla riuscita dell’operazione, che costerà 500 milioni di euro, convergono tutte su quei punti che sono sott’acqua e dove nessun sub è potuto arrivare. “Nessuno, nemmeno la Costa è in gradi di dirci che tutto funzionerà al millesimo – racconta Mario Pellegrini, vice sindaco dell’Isola del Giglio – il relitto ha subito pesanti trasformazioni nel corso del tempo, la struttura potrebbe cedere al momento della rotazione, a quel punto la nave potrebbe spaccarsi e sprofondare a 70 metri di profondità”. E restare lì. Per sempre. Centomila tonnellate di ferro, acciaio e qualsiasi cosa di materiale inquinante a pochi metri dai desalinizzatori che portano l’acqua alla popolazione gigliese che sono posti ad 80 metri di profondità. Anche davanti al porto del Giglio.
Nei giorni scorsi, intorno alla Concordia, la Titan-Micoperi ha terminato di posizionare le 11 torri sul lato destro e i 13 cassoni sul lato sinistro che serviranno per far ruotare e successivamente equilibrare la nave con catene enormi che già pendono dai lati dello scafo e sono ancorate a piattaforme subacquee. La terza fase del recupero prevederà che il relitto esca dall’acqua e resti dritto, fermo, immobile, per tutto il tempo necessario a metterlo in sicurezza, “mettendo le toppe e tappando i buchi” che si saranno inevitabilmente creati nella fase di rotazione. Poi resterà lì tutto l’inverno, fino all’estate forse – o anche oltre, come si diceva – fino a quando tre enormi pontoni lo trascineranno, ad un miglio l’ora, un tempo enorme quando si va per mare e le condizioni del tempo cambiano nel giro di un battito d’ali, fino al porto di Piombino. Forse.
A quel punto, l’incubo dell’isola del Giglio scomparirà nella memoria di chi, soprattutto, non ha mai voluto fare della tragedia della Concordia una ragione di lucro e di arricchimento sulle spalle delle vittime e del disastro ambientale che, comunque, l’isola ha subìto. Perché ancora oggi, malgrado il cattivo gusto di tanti turisti che si riversano sull’Isola solo per vedere la Concordia, nelle botteghe di tutto il Giglio non si trova (né si troverà mai) una maglietta o altro gadget con lo skyline del porto vista Concordia. Qualcuno ci ha provato a proporre ai commercianti gigliesi di vendere le magliette con la foto della nave accasciata e sotto la frase del comandante Gregorio De Falco contro Francesco Schettino, “Torni a bordo, cazzo!”, ma gli isolani hanno sempre respinto, sdegnosamente, lo “sciacallaggio di una tragedia”. La Concordia, in fondo, è ancora la tomba di due persone e al Giglio c’è chi, da sub, ha tirato fuori “i cadaveri delle vittime che si sfarinavano tra le mani, dopo giorni sott’acqua”. Impossibile dimenticare. E soprattutto, lucrarci sopra.